Il Malawi è un piccolo stato dell'Africa sudorientale, attraversato dalla Rift Valley e dal lago da cui prende il nome. Con i suoi 13 milioni di abitanti è uno dei Paesi più densamente popolati dell'Africa. Ex-colonia britannica, la sua popolazione è multietnica e non ha sofferto, come molti altri stati, le conseguenze di guerre civili e di religione. La maggioranza della popolazione è cristiana, per lo più protestante, ma ci sono anche gruppi di musulmani, soprattutto al nord. Attualmente l'aspettativa di vita è attorno ai 50 anni; la principale causa di morte è l'AIDS.
Pacem Kawonga parla proprio di questo nel suo libro, racconta la sua storia di caduta e rinascita e vuole così celebrare chi l'ha aiutata in questo percorso e dare speranza ai tanti che in questo momento si trovano in difficoltà.
Pacem non ha avuto una vita di privazioni e drammatiche violenze. Non è stata rapita, non è stata venduta né stuprata, non ha dovuto fare la prostituta. Niente di tutto questo. Pacem è invece, se posso permettermi il paragone, il corrispettivo africano di quelle donne nostrane di famiglia agiata che prima fanno le ribelli e poi si mettono con uomini poveri e dannati che fanno fare loro una vita d'inferno. Pacem non è partita svantaggiata, ha fatto solo una serie di scelte molto stupide.
Gli europei hanno questo mito dell'Africa nera povera, miserabile, e facciamo proprio fatica a rapportarci con la classe media e borghese africana. Forse è impossibile da immaginare che, in questi Paesi, esista chi fa la bella vita e si arricchisce enormemente campando di corruzione (pochissimi), chi fa la fame e muore senza aiuti su una stuoia, nei villaggi (la stragrande maggioranza delle persone) e chi invece vive in città, ha studiato e si è guadagnato un posto di lavoro come impiegato, insegnante o nelle poche strutture ospedaliere e vive in modo dignitoso e tranquillo, pur senza sguazzare nell'oro. La società africana, al giorno d'oggi, non è molto dissimile da quella del Nord del mondo; l'unica differenza sono le percentuali.
Pacem viene proprio da questa fascia media, sebbene la sua famiglia avesse origini umili. Il padre lottò per poter studiare e affrancarsi dalla povertà e fece in modo di dare alla propria famiglia una casa confortevole e le migliori scuole del Paese. Non era un uomo perfetto, tutt'altro. Oltre ad essere spesso assente e freddo, emotivamente distante, aveva anche il vizio di cercarsi amanti: è proprio per causa sua che la madre di Pacem morì di AIDS, seguita nel giro di pochi mesi dal marito.
Questa è la prima problematica affrontata dall'autrice: in Africa, così come nel resto del mondo, peraltro, i maschi non ce la fanno proprio a tenerselo nelle mutande. Complice una cultura maschilista che vede nella virilità la misura del valore dell'uomo, gli uomini africani vengono quasi spinti ad avere quante più amanti possibili, l'idea della fedeltà maschile all'interno della coppia non li sfiora nemmeno, così come non sono loro che devono preoccuparsi di evitare gravidanze indesiderato o malattie veneree. L'uso del profilattico, per molti anni e ancora oggi in alcune zone, è stato pressoché nullo.
Pacem, ormai orfana e senza aver finito gli studi, si ritrova a fare una vita ben diversa da quella a cui era abituata, a dover lavorare e a dipendere dai parenti. Questa è un'altra realtà molto interessante: il concetto di famiglia in Africa, o almeno nelle zone del Malawi, è molto più ampio di quello occidentale, forse più simile a quello del sud Italia. La famiglia non è mai il nucleo padre-madre-figli, ma comprende tutti i parenti, zii, cugini, nonni, in una rete di sostegno e soccorso che fa sì che una persona in difficoltà economiche o familiari difficilmente si ritrovi a cavarsela da sé. Ci sono solo due casi in cui la famiglia, a volte, sceglie di abbandonare un parente: quando all'interno di un matrimonio la persona non rispetta gli accordi familiari (il matrimonio in Malawi è un contratto tra famiglie e ogni problematica tra coniugi viene discussa da un comitato di rappresentanza delle due parti, alla ricerca di una mediazione) o quando questi si rivela sieropositivo.
Purtroppo quest'ultima realtà è una tragedia del mondo rurale africano. Per qualche strano motivo qualsiasi altra malattia è considerata una sfortuna e la famiglia cerca di soccorrere il malato come può, tra cure e attenzioni. L'HIV, invece, è considerato una maledizione, una vergogna, e chi scopre di essere sieropositivo spesso deve nasconderlo a tutti, parenti e vicini di casa, rendendo le visite mediche e le cure, a tutti gli effetti, impossibili.
Pacem avrebbe potuto sposarsi con un uomo di buona famiglia, suo ex compagno di classe, con ottime prospettive lavorative, ma la sua vena autodistruttiva la portò ad innamorarsi, invece, di James, un uomo dalla pessima fama, che tutti le sconsigliavano di frequentare, e che in seguito al matrimonio si rivelò violento, ignorante e incapace di prendersi cura della propria famiglia. Pacem soffrì in silenzio per molti anni, senza trovare la forza di ribellarsi; si risvegliò solo quando la seconda figlia, Melanie, iniziò ancora neonata a dare segni di malessere generale. Solo l'amore per i propri figli è riuscito a tradurre in azione quella disperazione che la immobilizzava. Contro il volere del marito Pacem decise di farsi fare il test dell'HIV, scoprendo ovviamente di essere sieropositiva.
La scoperta della malattia è, da un certo punto di vista, la fine della propria vita, almeno come la si concepiva fino a quel momento. Ci sono due possibilità: lasciarsi andare, perdere la speranza e aspettare l'inevitabile o reagire, cercare di lottare per sopravvivere. Pacem ha scelto la seconda via, quella più dura forse, per la condanna sociale che porta con sé, ma anche l'unica che possa dare un futuro. Qui, dove le sue speranze e i suoi sogni muoiono, dove la ragazzina deve aprire gli occhi e accettare la realtà del fallimento della sua famiglia, Pacem rinasce, trova il modo di ricominciare e di reinventare se stessa.
L'autrice è molto chiara nel sostenere il proprio punto di vista: in Africa la forza portante, chi muove davvero le cose e lavora per creare qualcosa di meglio sono le donne. Non tutte: molte sono troppo sottomesse, schiacciate dalla mentalità maschilista che ha soffocato in loro la voglia di lottare. Ma non è dagli uomini nel suo Paese che è partita la rinascita. Ciononostante Pacem non odia gli uomini, con la loro supponenza e il disprezzo per le consorti, non odia nemmeno suo marito, che le ha a tutti gli effetti rovinato la vita. Non è una gara, in fin dei conti, e di uomini buoni e seri, capaci di vivere in modo sano, Pacem ne ha incontrati non pochi nella seconda parte della sua vita. Certo è che si legge tra le righe il desiderio di un cambiamento di mentalità più profondo, che coinvolga la parte maschile della società in modo più forte e diretto, che scardini l'idea della sottomissione della donna alla ricerca dell'uguaglianza.
Se Pacem ha potuto lottare e cambiare la propria vita è anche grazie all'incontro con la Comunità di Sant'Egidio, che in Malawi ha aperto alcuni centri del proprio progetto Dream. In poche parole, si tratta di un progetto di sostegno alla popolazione sieropositiva, con un occhio di riguardo per le donne e i bambini, e di prevenzione della malattia soprattutto nella trasmissione gestante-neonato. Le cure offerte dai centri Dream in Malawi così come in molti altri stati subsahariani sono completamente gratuite e prevedono, oltre allo screening regolare e alle medicine, la fornitura di pacchi alimentari, perché non si può pensare di curare solo coi farmaci una popolazione denutrita o malnutrita in partenza.
Pacem ha affrontato la malattia con loro e ora collabora come attivista del progetto. E' diventata coordinatrice di un centro Dream e ha viaggiato molto, tra Africa ed Europa, per portare la propria testimonianza anche di fronte ai grandi della terra.
Potenzialmente questo libro poteva essere molto interessante e coinvolgente, oltre che informativo. A me piacciono molto le storie vere, le esperienze di prima mano di realtà che io non vivrò mai, come la vita in Africa, per esempio, perché leggere il vissuto e le emozioni di quelle persone mi aiutano a capirne la cultura, il background sociale, la mentalità e il vissuto che influenza il loro modo di agire. Si imparano molte cose, ad ascoltare la vita degli altri, si trovano somiglianze e si cerca di colmare le distanze; inoltre si imparano molte cose anche su noi stessi.
Dicevo che potenzialmente questo libro, senza grandi pretese letterarie, poteva essere molto interessante. Invece dalla metà in poi mi ha proprio stufato. Mentre la storia personale di Pacem e dei suoi bambini occupa pochissimo spazio fra le pagine, raccontata in modo secondo me fin troppo sbrigativo e superficiale, dalla metà in poi si susseguono capitoli interi di lodi sperticate alla Comunità di Sant'Egidio e al suo lavoro. Ora, io non ho nulla in contrario e capisco la riconoscenza che l'autrice prova nei confronti di chi l'ha aiutata a salvarsi, ma per il lettore è proprio pesante leggere tre capitoli di seguito di quanto è bello il centro, come sono gentili le persone e come sono buoni tutti. Va bene, ma piuttosto parlami del loro programma nel dettaglio, dimmi cosa fanno e perché hanno scelto di operare proprio in questa direzione...
Avrei voluto leggere di più delle sue esperienze e difficoltà, delle persone malate che ha conosciuto al centro, della loro storia. Sì, c'è una parte sul finale in cui racconta, in mezza paginetta, la storia di tre o quattro pazienti, ma avrei davvero gradito un approfondimento maggiore anche sulla differenza nel rapporto con la malattia nei diversi ceti sociali. Avrei voluto leggere più commenti sulle problematiche del Malawi, a livello economico e sociale ma anche culturale; avrei preferito che l'autrice desse un'opinione più consapevole della situazione generale. Avrei voluto scoprire di più di tutte quelle figure professionali tipicamente africane, quali i clinical officers, un incrocio tra medici e infermieri che spesso si ritrovano per carenza di personale a gestire da soli gli ambulatori. Avrei voluto infine sapere qual è la percezione del futuro in questi Paesi, quali sono i progetti futuri e, in caso, come si possono aiutare le persone che ancora vivono in difficoltà.
Invece mi sono annoiata. E ci sono rimasta proprio male.
Insomma, il libro aveva tutte le carte in regola per poter essere una buona lettura formativa e si è suicidato. Non è da buttare, ci mancherebbe, anzi, ho imparato molte cose. Solo, avrei voluto impararne di più. Forse alla fine avrei avuto più simpatia per la Comunità di Sant'Egidio e le sue opere senza pensare che questo libro fosse uno spot pubblicitario dedicato...
Fino a metà recensione ho pensato che lo volevo leggere... Poi, decisamente, no. Però il tuo pezzo è davvero interessante, temo, da quanto scrivi, che lo sia anche più del libro...
RispondiEliminaEh, purtroppo temo di sì... Però posso raccontartelo a voce saltando tutte le parti noiose! ;)
Elimina:)
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