Tra un libro da spiaggia e l'altro mi è capitato tra le mani un altro classico e per l'ennesima volta non obbligato dal gruppo di lettura. Cos'è 'sta storia che leggo pezzi da novanta pure italiani così, senza una spinta esterna? Non mi riconosco più...
Non avevo mai letto nulla di Dacia Maraini, ma avevo trovato "La lunga vita di Marianna Ucrìa" tra i libri consigliati in una lista di storie femminili. Mi aveva incuriosito e, essendo io abbastanza femminista, mi sono sentita in dovere di mettere le mani su una copia di questo romanzo.
"La lunga vita di Marianna Ucrìa" fa proprio ciò che ci si aspetta dal titolo: racconta con una serie di flash, di momenti topici, la vita di Marianna, giovane rappresentante della famiglia aristocratica siciliana degli Ucrìa, dall'età di circa 7 anni alla maturità.
La storia, ambientata nei primi anni del 1700 tra Palermo e Bagheria, dona al lettore uno scorcio storico molto intenso della vita in Sicilia in quegli anni, in particolare della struttura familiare nelle classi più agiate e della condizione femminile, che, è scontato, era piuttosto tragica.
Marianna è una bambina intelligente e riflessiva, ha due sorelle e tre fratelli e un segno particolare: è sordomuta. In un'epoca in cui questo tipo di disabilità non poteva in alcun modo essere compensato, la posizione di Marianna si fa complicata: mentre i suoi fratelli e sorelle hanno tutti un futuro già scritto (il primogenito maschio ereditava tutto, gli altri erano destinati alla Chiesa o all'esercito, mentre per le femmine i genitori sceglievano tra convento e matrimoni combinati) lei non è propriamente adatta a nessun ruolo. Dovendo comunicare ha dovuto imparare a leggere e scrivere, cosa inusuale in un periodo in cui tra le donne anche di classi aristocratiche vigeva il semianalfabetismo, e di conseguenza si è fatta una cultura che potrebbe pregiudicare un'unione matrimoniale (nessun uomo, a quanto pare, avrebbe voluto prendersi come moglie una donna istruita); oltretutto la sua disabilità non è compensata da una straordinaria bellezza e dunque la famiglia non potrebbe sperare di accasarla con un buon partito, ricco e influente. D'altra parte i genitori non sono propensi nemmeno per il convento: questo avrebbe voluto dire versare una lauta dote alla congregazione, per non parlare delle continue spese che una figlia suora avrebbe significato dal punto di vista del mantenimento tra libri, accessori religiosi e non, vesti, cibi prelibati e chi più ne ha più ne metta. Sì, è bene sottolineare subito come il convento, a quel tempo, non volesse dire ritiro in preghiera e povertà per gli appartenenti alle famiglie nobili...
Il destino di Marianna viene deciso quando uno zio, il fratello della madre della ragazzina, eredita parecchie terre, titoli e ricchezze da un parente morto senza eredi diretti: la tredicenne andrà sposa dello zio quasi cinquantenne.
Comincia così la vita da donna di Marianna, a soli tredici anni. Di lì in avanti ci saranno gravidanze, figli a cui badare, dolori e poche gioie, il tutto filtrato dalla cappa di silenzio che circonda la giovane e la separa dalla società.
E' un brutto mondo quello in cui vive Marianna. E' una società asfissiante, che si aspetta da ognuno una totale abnegazione al ruolo che il destino gli ha dato. Così come i primogeniti sono tenuti a farsi carico di ogni responsabilità e di procreare in abbondanza per la continuità del nome, i figli cadetti devono accettare il loro posto nella Chiesa o in posizioni subordinate e le figlie devono assoggettarsi totalmente al volere dei genitori prima e dei mariti poi.
E' una brutta vita quella riservata alle donne al tempo di Marianna. Spose bambine (alla faccia di chi dice che da noi queste cose non succedono più dal Medioevo...) fondamentalmente vendute al miglior partito, senza nessuna attenzione per i desideri delle piccole o per l'età e carattere del futuro sposo; per loro si prospettava una sequenza di stupri, gravidanze, parti o aborti e una vecchiaia che, per chi sopravviveva, arrivava già all'età di trent'anni, quando si diventava nonne. Non solo, le donne erano anche tenute a una serie di comportamenti restrittivi a livello sociale che rendevano la loro vita ancora più limitata. I parenti, dai genitori ai fratelli finanche ai figli maschi, avevano diritto di riprendere una donna se si comportava in modo considerato inopportuno e non erano poche quelle che, a causa del proprio carattere ribelle, venivano interdette e rinchiuse. Una donna che si fosse fatta vedere in pubblico in compagnia di un uomo che non era il marito o un famigliare stretto sarebbe stata considerata una poco di buono e un'amicizia anche del tutto innocente con un uomo di classe sociale inferiore era cosa gravissima. Questo per le donne di classe sociale agiata, che se non altro godevano del privilegio di non svolgere duri lavori manuali e potevano intrattenersi con i passatempi dell'alta società; inimmaginabile lo stile di vita delle donne del popolo, che in questo romanzo la Maraini ci mostra sempre e solo dall'esterno, filtrate dagli occhi di Marianna. Una volta sola descrive i vicoli più poveri dei paesi del palermitano e quel poco basta e avanza.
Dacia Maraini descrive in questo libro la sua amata Sicilia, in particolare il paese in cui è cresciuta, Bagheria, a cui ha dedicato anche altri scritti. Legata proprio a quell'aristocrazia antica e decadente ma orgogliosa dell'isola da parte di madre, la Maraini trasmette nelle pagine tutto il suo amore per una terra dai molti contrasti, che è ricca di sensazioni ed emozioni, profumi e sapori, ma anche di bruttezze e ineguaglianze. Sono tantissime le piaghe della società dell'epoca che tocca durante lo svolgersi delle vicende, tratteggiando una terra allo sbando in cui si va delineando un sistema di soprusi che poi diventerà la mafia e un abbandono volontario alla pigrizia da parte di chi dovrebbe tenere le redini del governo. Il tutto narrato con uno stile agile, fresco, chiaro e incisivo. La Maraini utilizza capitoli brevi che, come una ciotola ci ciliegie, lasciano in bocca la voglia di leggerne ancora uno, uno solo...
Nonostante sia un libro duro e i temi trattati siano tutt'altro che felici, il romanzo scorre velocissimo e non è per nulla pesante. Ci si affeziona facilmente a Marianna, alla sua calma razionalità e al suo bisogno d'amore, che lei nega a se stessa finché può, finché le convenzioni tengono, per poi esplodere in un'ode, quasi, alla femminilità indipendente, che rompe le consuetudini a costo di perdere tutto e va per la propria strada. E ci lascia una speranza, perché nonostante tutto Marianna non sarà mai davvero sola...
Un romanzo che consiglierei soprattutto alle donne, perché capiscano quanto la nostra vita è cambiata negli ultimi duecento anni e quanto è importante lottare perché le nostre figlie siano sempre più libere e padrone di se stesse, nel corpo e nell'anima.
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