domenica 31 luglio 2016

21. Portia De Rossi - Unbearable Lightness: a story of loss and gain

Più riguardo a Unbearable LightnessSaltando da una lettura da spiaggia assai classica a un'altra, non molto da ombrellone ma assai più contemporanea e anche abbastanza nazional-popolare, il mese di luglio ha visto come protagonista dei miei momenti di svago per parecchi giorni l'autobiografia di Portia de Rossi.
Attrice conosciuta come l'algida Nelle Porter nel telefilm Ally Mcbeal e che da allora ha preso parte a diverse serie tv di discreto successo, è forse salita alla ribalta, almeno nella cronaca scandalistica, per la sua relazione omosessuale con la famosissima presenter americana Ellen DeGeneres, con la quale è convolata a giuste nozze nel 2008.
Non so quanto sia giusto chiamare il suo primo e al momento unico libro, peraltro non ancora edito in Italia, un'autobiografia. Di certo l'ha scritto lei e di certo mette a nudo molte delle sue vicende più intime. Forse la miglior definizione sarebbe autobiografia tematica; infatti lo scopo di Portia non è raccontarci un po' della sua vita, ma un fetta specifica, molto drammatica ed importante, che l'ha portata quasi alla morte: gli anni di lotta contro bulimia e anoressia.
Questa donna, che prima di fare l'attrice ha lavorato per una decina d'anni come modella, ha iniziato a soffrire di disturbi dell'alimentazione praticamente appena intrapresa la carriera artistica, all'età di 12 anni. Questa donna, che io ricordo come un'apparizione tra le donnine un po' grigie di Ally Mcbeal e che ho sempre ritenuto estremamente attraente e sensuale per quanto non perfetta, ha trascorso anni e anni della propria vita a odiare il proprio corpo, se stessa, e a cercare di cambiare ciò che considerava inaccettabile per sentirsi infine davvero fisicamente perfetta. Stiamo parlando di questa donna qui:
Dal mio punto di vista è inconcepibile che qualcuno in grado di apparire così bello in televisione possa sentirsi inadeguato, ma è stato proprio questo uno dei motivi per cui ci ho tenuto tanto a leggere questo libro.

Ho scoperto della pubblicazione di "Unbearable Lightness" ("Insostenibile leggerezza") da un video di Youtube, un'intervista nel talk show di Ellen dal forte carico emotivo e che mi ha davvero colpita. La prima cosa che ho pensato, dopo l'incredulità iniziale è stata: questa donna è davvero coraggiosissima.
Non so quante persone nella stessa condizione avrebbero avuto la forza di esporsi così all'attenzione pubblica e al giudizio della gente, che si sa non vede l'ora di far sapere al mondo ciò che pensa.
Purtroppo il video in questione è stato rimosso e non sono riuscita a trovarne una copia in nessun angoletto illecito del web.

Una delle cose che mi ha più colpito della storia di Portia è la solitudine che l'ha accompagnata in tutti quegli anni, come se un muro costruito per lo più da se stessa e fatto di ambizione sfrenata e insicurezza allo stesso tempo le impedissero di avere un rapporto sincero e di fiducia con chiunque la circondasse, dalla sua famiglia a quelle che lei considera e chiama le sue migliori amiche. Un'incapacità quasi di creare legami autentici e un'inclinazione alla recitazione anche nella vita che di certo non ha giovato nel momento in cui i segreti che nascondeva al mondo iniziavano a diventare enormi. Portia non è una vittima di qualcosa o qualcuno, non si presenta come un esserino delicato e perfetto abusato da una società crudele; anzi mostra il peggio di sé, la propria testardaggine, il bisogno di attenzioni spasmodico e incontrollato, l'incapacità di prendersi cura di chiunque altro, tutta presa dalle proprie ossessioni. E' una donna vera, piena di angoli bui e per questo, forse, più avvicinabile.

Il libro non segue un percorso cronologico lineare, per quanto si possano evidenziare, come inizio e fine della narrazione, l'ingresso nel cast di Ally Mcbeal e l'inizio della sua relazione con Ellen. Tra i flashback e le riflessioni, Portia dipinge il quadro di una vita passata in balia della propria estetica e del giudizio esterno, e la cosa che rende davvero interessante questo libro è che lo fa dal punto di vista della malata, dell'anoressica convinta di essere nel giusto, riportando i pensieri e le sensazioni che hanno ottenebrato la sua capacità di giudizio in tutti quegli anni. Il lettore quindi si cala completamente nella mente della persona disturbata e fidatevi, la sensazione è tutt'altro che gradevole. Ho avuto momenti in cui la lettura si è fatta davvero faticosa e momenti in cui avrei voluto strangolare Portia, così come istanti di pena straziante e di rabbia contro un mondo che invece di aiutarla le mandava messaggi di rinforzo positivo alla sua logica malata.
Portia è molto delicata nel parlare delle colleghe, che in quel periodo erano tutte malate di anoressia nervosa (perché si sa che il mondo delle star è costellato da gente che sta proprio proprio bene...), non le espone mai con troppa crudeltà, cosa che invece fa con se stessa; tuttavia non si esime dal denunciare un sistema di canoni di bellezza e di monopolio del gusto estetico che a tutti gli effetti devasta l'autostima delle donne e spinge le più fragili a gesti estremi.
Portia è una donna di media altezza, sul 1,70 cm, che sarebbe normalmente portata ad un peso di circa 55 chili. Non è una donna particolarmente minuta, seppur magra, e al suo ingresso nel mondo del cinema si rese conto che la sua taglia, tra la 6 e la 8 in America (una 42/44 in Italia) sarebbe stata inaccettabile. Non mi sorprende: per anni io ho portato una taglia 46 venendo tacciata di obesità e sentendomi dire da alcuni negozianti che non avevano "nulla che potesse entrarmi" (testuali parole). Io ho reagito ingrassando ancora di più, probabilmente; lei invece ha cominciato a inasprire una tendenza alle diete da fame e alla bulimia che già la accompagnavano dall'adolescenza. D'altronde è con orrore che si legge dell'umiliazione che è stata costretta a subire in occasione del primo spot L'Oréal, per cui è stata testimonial: trattata con disprezzo assoluto da chi doveva scegliere come vestirla, perché loro non avevano mai preso in considerazione che lei potesse avere una taglia superiore alla 4 (una 40 in Italia), le è stato persino rinfacciato che colleghe precedentemente passate tra le loro mani avevano addirittura una  0 (cioè una 36)! Ora, niente in contrario alla taglia 36 su ragazze minute, dalla struttura esile e plausibilmente dall'altezza un tantino inferiore, ma pensare che una donna possa portare la 36 ed essere alta 1,70 è follia pura...

Ad ogni modo, Portia ci trasporta con una determinazione quasi dolorosa per il lettore sempre più giù, nell'ossessione malata per il cibo e l'attività fisica. Nel momento più drammatico Portia arriverà a pesare circa 36 chili seguendo un regime alimentare di circa 400 calorie al giorno e dovrà riprendere a mangiare per l'improvviso crollo del proprio fisico. L'anoressia è una malattia orribile dal punto di vista psicologico, che porta ricadute gravissime sulla vita personale, familiare e sociale in genere, ma non bisogna trascurare la componente fisica. Portia si è ritrovata a 25 anni con una grave forma di osteoporosi che le impediva praticamente di muoversi, una cirrosi epatica e livelli di potassio ai limiti del collasso generale, tanto che i medici avevano anche ipotizzato che potesse essere affetta anche da lupus ("Ma non è mai lupus!" citazione colta per chi la coglie...).
La strada per uscire da questi problemi è molto lunga e disseminata di ostacoli, per lo più provenienti dall'interno della propria testa. Pur sapendo di aver bisogno di riprendere a mangiare per guarire non è facile vedere il proprio corpo che torna pieno, agli occhi della malata paffuto, e a volte il giudizio dei paparazzi e del pubblico è terribile. Chi è stato malato una volta viene costantemente scrutato e giudicato, perché sarà inevitabilmente troppo grasso o troppo magro, e quindi di nuovo malato. Ricordo con tristezza le vicissitudini di Christina Aguilera e il modo in cui la stampa, al suo rientro dopo essere stata in cura per la sua evidente anoressia, l'aveva descritta come "grassa" per via del ventre leggermente arrotondato... (Faccio riferimento all'uscita del video "Dirrty", andatevelo a vedere e traete le vostre conclusioni...) Portia è stata fortunata forse perché ha trovato sulla sua strada persone che le hanno voluto bene veramente e l'hanno aiutata a intraprendere un percorso anche e sopratutto di liberazione dalle proprie paure, dalla negazione di se stessa.

Ogni pagina del libro trabocca dell'odio di Portia per il proprio corpo, ma dietro a ogni momento di crisi c'è un'altra ombra, più profonda: il terrore di essere scoperti per ciò che si è davvero. Portia ha sempre mostrato una predisposizione per la fuga da se stessa, tanto che a quindici anni decise di cambiare nome (Portia de Rossi è un nome d'arte; il suo vero nome sarebbe Amanda Rogers) per scappare dalla banalità, dalla possibilità che un'altra ragazza si chiamasse nello stesso modo.
Arrivata all'età adulta, Portia sapeva di essere lesbica, e sebbene sia stata sposata con un uomo per qualche tempo non ha mai avuto dubbi sulla propria attrazione per le donne. Purtroppo però vent'anni fa il mondo non era molto aperto all'omosessualità...e a ben vedere nemmeno oggi la situazione è tanto rosea. Allora però, soprattutto per coloro che facevano parte del mondo dello spettacolo, ammettere pubblicamente la propria omosessualità poteva voler dire essere ostracizzati. Proprio Ellen DeGeneres visse sulla propria pelle questa bella esperienza e Portia, così come tanti colleghi nell'armadio, avrebbero fatto di tutto pur di non far scoprire alla stampa la verità. Questo voleva dire negarsi ogni tipo di relazione sentimentale, nel terrore che anche solo un'uscita amichevole potesse mettere la pulce nell'orecchio di qualche paparazzo. Come si può ben immaginare, la tossicità di tenere nascosta una parte di sé unita alla negazione di relazioni forti e all'ossessione per la propria immagine hanno portato la bella attrice al tracollo.

Per quanto possa suonare sdolcinato, è proprio l'amore che salva. Come mille volte abbiamo sentito dire, nulla ha il potere di ridare la vita come l'amore incondizionato di chi ci sta a fianco. Vero, si può guarire e vivere pienamente una relazione solo se ci si ama da soli prima di tutto, ma avere qualcuno che ti vede nei momenti peggiori della tua vita e ciononostante ti ama e ti desidera riempie qualche buco di stima.
Portia ha avuto due donne che l'hanno aiutata ad uscire dal buco nero dell'anoressia: Francesca Gregorini, con la quale però Portia non si sentì di venire allo scoperto pubblicamente, e Ellen DeGeneres, sua attuale compagna. Portia ricorda il giorno in cui incontrò Ellen per la prima volta: pesava 76 chili, il massimo che abbia mai raggiunto, ed Ellen si innamorò di lei all'istante.
L'autrice dice che non si può dire di avere un rapporto davvero sano col cibo finché si segue una qualche dieta. Sostiene che qualsiasi dieta, se richiede restrizioni di alimenti o calorie (che è il presupposto fondamentale di ogni dieta, se non erro) è in qualche modo un inizio della malattia che in lei ha preso tanto piede. Quando ci si nega qualcosa si scatena il desiderio di averla e più ce lo si nega più si accumula il desiderio. Al termine della dieta ci si riempie così tanto di tutto ciò che non si è potuto avere nei mesi precedenti che si finisce per riprendere tutto il peso perso se non di più. Mangiare in modo ordinato, cioè non malato, è permettersi di mangiare di tutto quando ci va ma senza l'ansia che sia l'ultima chance, perché "potremo sempre mangiarne ancora il giorno seguente".
Quest'idea dell'alimentazione mi piace, devo dirlo. Suona sano e meno ossessivo delle mille regole sventolate da questo o quel regime alimentare.

Ho voluto tanto leggere questo libro perché l'argomento mi tocca da vicino. Pur non avendo mai sofferto di anoressia non posso dire che il mio rapporto col cibo sia sempre sano; al giorno d'oggi dubito che molti possano sostenerlo in piena sincerità. Ho portato per molti anni il peso del giudizio, dell'essere considerata grassa; a ben vedere fin dall'età di 12 anni, quando Portia ha iniziato a mettersi a dieta. Non credo che le persone capiscano quanto fa male questo tipo di giudizio, se no non si starebbe ancora a discutere di modelle preadolescenti anoressiche sulle passerelle dell'alta moda internazionale.
Leggere della lotta di una donna bella e famosa in qualche modo ha aiutato la mia autostima. Mi ha confermato che, se qualcuna delle star è semplicemente fortunata, la maggior parte di loro combattono costantemente contro il proprio peso, infliggendosi danni non indifferenti. Portia de Rossi non è stata la prima e certamente non è l'ultima né la sola in questa guerra estetica che ci vuole filiformi a tutti i costi, delicate, fragili, innocue.
"Unbearable lightness" non è un libro leggero da mandar giù, ma vorrei che gli uomini e le donne che non si amano lo leggessero e capissero di non essere soli." Purtroppo non credo che ne vedremo mai una versione in italiano...

lunedì 25 luglio 2016

20. Horace Walpole - Il castello di Otranto

Più riguardo a Il castello di OtrantoAffrontare un classico è sempre un po' ansiogeno per me. Chissà se sarà un mattone illeggibile o se mi stupirà, dando prova di essere sopravvissuto ai secoli non solo per il proprio valore artistico innovativo ma anche per una trama avvincente?
Per chi, come me, ha fatto dell'inglese una professione, "Il castello di Otranto" di Walpole marca un passaggio fondamentale: la nascita del romanzo gotico.

Scritto nel 1764, il romanzo è stato un successo immediato ed è stato l'iniziatore di un genere che, negli anni successivi, ha contato parecchie opere rimaste nella storia della letteratura, come "I misteri di Udolpho" di Ann Radcliffe o "Il monaco" di Lewis. Forse al giorno d'oggi questi titoli non dicono granché alla maggior parte delle persone, ma all'epoca segnarono un vero fatto di costume e la mania del genere gotico si diffuse al punto che Jane Austen ne immortalò le conseguenze nell'opera dal forte carattere ironico "Northanger Abbey".

Eppure l'autore non credeva davvero di poter avere un tale successo. Anzi, la prima edizione fu pubblicata sotto pseudonimo e falsamente presentata come la traduzione di una cinquecentesca opera italiana. Insomma, più di così non avrebbe potuto nascondersi. Solo dopo aver assistito al trionfo editoriale incredibile Walpole ammise la paternità del romanzo, pur schermendosi e giustificando alcune scelte stilistiche e di caratterizzazione, quasi ne fosse comunque imbarazzato.
Cos'aveva questo libro di tanto mortificante?

Sinceramente non lo saprei proprio dire, perché io l'ho trovato anzi un romanzo accattivante e scorrevole, pieno di colpi di scena e svolte inaspettate. Certo, non posso non ammettere che gli anni si sentano; al giorno d'oggi nessuno scriverebbe un libro del genere ricevendo un tale successo di pubblico. Tuttavia vale a mio avviso davvero la pena di leggerlo, tanto più che è davvero breve e va giù tutto d'un fiato. Probabilmente ciò che affliggeva Walpole era il giudizio dei letterati del periodo, che associandolo ad un libro frivolo, per così dire, d'intrattenimento, avrebbero potuto snobbarlo come intellettuale.

La storia si svolge presso il castello di Otranto, dove il principe Manfred vive con la moglie Hippolita e i due figli, Conrad e Matilda. La corte è in festa, perché si festeggiano le imminenti nozze tra il giovane Conrad e la bella Isabella. Il primo shock però è già in agguato: la mattina delle nozze Conrad viene ritrovato morto, schiacciato da un enorme elmo piumato apparentemente piovuto dal cielo all'interno del cortile del castello. Manfred ne vederlo inizia a tremare: lui sa infatti che sul suo principato grava una funesta profezia...
Così si avvia la vicenda che subito stupisce il lettore e lo lega a sé fino all'ultima pagina. Da dove viene quell'elmo? Cosa significa l'oscura profezia? E perché Manfred teme tanto di perdere il proprio titolo nobiliare e il castello di Otranto?
La trama è una catena di eventi sorprendenti, che si intrecciano e complicano la vicenda tendendo tutti verso il punto di chiusura finale. Se dovessi fare un parallelo tra quest'opera e una simile narrazione moderna la comparerei ad un soap opera o ad uno di quei telefilm che ad ogni fine puntata lasciano gli spettatori col fiato sospeso, scoprendo una nuova carta del mistero di fondo.

Siamo nella seconda metà del Settecento, nel Regno Unito il romanzo è ormai un genere affermato e che vanta una certa tradizione. Quello che Walpole produce è un libro di intrattenimento puro, che se al giorno d'oggi può sembrare in alcuni momenti quasi buffo all'epoca doveva essere davvero emozionante e inquietante. D'altronde la fantasia di Walpole è davvero incredibile. Ma chi mai avrebbe costruito un intero romanzo da un enorme elmo che piove sulla testa di uno sventurato giovane? Genio assoluto.

Anche i personaggi sono interessanti e, sebbene appaiano caricaturali, mostrano situazioni e tipologie umane davvero esistenti, in particolare in epoca medievale.
Manfred è il principe cattivo, freddo e cinico, interessato solo al potere e ad affermarsi a qualsiasi costo, a sprezzo della religione e del buon gusto persino. Hippolita la moglie fedele e innamorata, sottomessa al marito anche a costo di sacrificare se stessa all'infelicità. Matilda è la figlia intelligente e dal carattere forte, quasi ribelle (se la si inquadra nel periodo storico d'ambientazione della storia la sua indipendenza di pensiero e sentimento non può che essere vista come tale).
E poi ci sono tanti altri personaggi: il cavaliere senza macchia, il giovane di umili origini ma di animo nobile, la cameriera fedele e scaltra, il monaco dal passato doloroso e misterioso... Davvero un elenco che potrebbe continuare e che riserva sempre nuove sorprese.

Ci sono situazioni e reazioni dei personaggi che forse al lettore moderno paiono strane o irragionevoli, ma collimano perfettamente con la mentalità e le consuetudini medievali.
Mi ha colpito molto ad esempio la pratica dell'annullamento del matrimonio diffusissima in quel periodo e in verità molto facile da ottenere per i nobili con l'aiuto di una discreta offerta alla Chiesa. Nonostante il divorzio sia da poco legale in Europa, per centinaia di anni l'aristocrazia ne ha fondamentalmente usufruito grazie alla regola che vietava a persone legate fino al settimo grado di parentela di sposarsi. Visto che i nobili tendevano a sposarsi sempre tra loro era ben difficile trovare qualcuno che non fosse proprio parente... Esempio famoso ne è l'annullamento tra Luigi VII re di Francia ed Eleonora di Aquitania, che grazie a questo divorzio potrà sposare il re d'Inghilterra Enrico II.
Insomma, immerso nell'epoca storica di riferimento, cioè il Medioevo, la storia acquista un gusto realistico nel suo sviluppo fantastico.

Nel complesso quindi ritengo che "Il castello di Otranto" sia un romanzo godibilissimo anche al giorno d'oggi, velocissimo da leggere e, oserei dire senza voler risultare blasfema, quasi da ombrellone. Non serve certo dedicare alla vicenda grande sforzo intellettuale; soltanto lasciarsi prendere dai mille colpi di scena e abbandonarsi al gusto un po' barocco della fantasia...

venerdì 15 luglio 2016

19. Charles e Mary Lamb - Macbeth e altri racconti da Shakespeare

Più riguardo a Macbeth e altri racconti da ShakespeareCredo faccia strano vedere un'insegnante d'inglese leggere un libretto del genere. Shakespeare è un colosso della letteratura inglese, impossibile da godere se non in originale (persino in traduzione non si può dire di apprezzarlo davvero). Allora, perché mai avrei dovuto mettere le mani su una riscrittura di Shakespeare?

La mia è stata prima di tutto semplice curiosità. Ho sempre pensato che le opere di Shakespeare, per quanto geniali, siano piuttosto difficili da approcciare e che il teatro in lettura non renda fino in fondo. D'altra parte non vedo perché le stesse storie non possano essere trasposte con successo in prosa. Non avrebbero così alcun valore letterario, ma potrebbero attirare quel pubblico che, all'idea di mettere le mani sull'originale, preferirebbero tagliarsi la gola. Quindi ero curiosa di vedere come Charles e Mary Lamb avevano pensato di riadattare alcune delle opere più famose e quanto sarebbero cambiate rispetto all'originale.

Inoltre non posso non ammettere che speravo di poter utilizzare pezzi di questo libricino come bigino per i miei studenti più "faticosi"... Ovviamente sarebbe bello pensare che tutti possano affrontare lo studio di Shakespeare in modo completo e approfondito, ma sono anche una persona ragionevole e so bene che le persone hanno dei limiti e senza delle basi solide la letteratura, soprattutto quella precedente al 1900, presenta delle difficoltà oggettive. Insomma, il riassuntino in prosa, all'occasione, può salvare la vita allo studente e pure a me.

Quindi, come hanno lavorato i nostri fratelli Lamb?
Sarò critica, ma non direi proprio bene... Prima di tutto perché, mentre pensavo di leggere delle versioni in prosa delle più famose opere di Shakespeare, mi sono ritrovata a leggere dei riassunti. Ma proprio riassuntini, di quelli che si troverebbero su un libro di testo qualsiasi...
Il volume che ho letto io racchiude i sunti di Macbeth, La tempesta, Re Lear, Amleto, Otello. Mi pare di capire che nella versione originale, intitolata "Tales from Shakespeare", i racconti siano di più, ma non mi interessa poi scoprire quali manchino all'appello...
Il primo appunto da fare al lavoro dei Lamb è che la resa finale dei racconti è drammaticamente noiosa. Le opere di Shakespeare sono famose anche per la presa che hanno sul pubblico e la capacità dell'autore di dosare momenti drammatici a colpi di scena e persino interruzioni comiche, creando il risultato che tutti conosciamo. I riassunti che ho letto non contengono nessuna emozione, non trasmettono divertimento né dramma, solo una sequela di avvenimenti malamente legati l'uno all'altro. Non so per certo quale fosse il fine ultimo di Charles e Mary nella stesura di questi racconti, ma se volevano invogliare il lettore ad avvicinarsi a Shakespeare... Be', diciamo che dubito del risultato.

Un'altra nota dolente sono i tagli. Dovendo comprimere opere anche lunghe in poche pagine, hanno dovuto per forza eliminare alcune scene. E fin qui lo capisco. Quello che non mi va tanto giù è l'eliminazione di personaggi interi o di scene tra le più famose nella storia del teatro. Non ci sono dialoghi all'interno dei racconti, tutto è raccontato in versione ridotta e sintetica, quindi sono stati eliminati anche tutti i passi più famosi. L'assenza di personaggi, per quanto secondari, ha obbligato gli scrittori a creare ponti di collegamento tra scene che non esistono nell'originale, o addirittura modificare le dinamiche che portano alle risoluzioni finali. Un esempio può essere la riduzione di Otello, in cui con l'eliminazione del personaggio di Emilia, la moglie di Iago, viene meno uno dei tramiti per la sventurata fine di Desdemona. Quanto agli epiloghi, persino quelli sono in qualche caso, come in Amleto, drammaticamente tranciati. Fortinbras/Fortebraccio non ti conosco...

Infine le storie sono disseminate, qui e là, di commentini moralistici e moraleggianti. Charles e Mary Lamb vissero tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento. Fratelli, sebbene Mary avesse 11 anni più di Charles, furono sempre molto legati, forse ancor più strettamente di quanto non succeda normalmente nelle famiglie in quanto Charles decise di dedicare tutta la propria vita a Mary, che essendo malata di mente e pericolosa per gli altri (aveva, tra le altre cose, ucciso la madre in un accesso di follia) e per se stessa aveva bisogno di essere costantemente controllata.
Visto il periodo storico non è sorprendente l'insistenza con cui si sottolinea la morale e la condotta dei personaggi, così come le descrizioni delle donne presenti nelle storie, sempre valutate nei parametri di rispettabilità, sottomissione e devozione religiosa. Al giorno d'oggi la lettura di certi commenti dà proprio sui nervi e suona anche una forzatura del testo di Shakespeare, che poi tutte quelle cose non è che ci tenesse poi tanto a dirle...

Insomma, non sono riuscita a trovare un solo punto favorevole in questo libro. Non è godibile, non può essere considerato una buona lettura per adolescenti pigri e nemmeno un buon bigino perché non segue le vicende in modo puntuale. Un fallimento su tutti i fronti. E dire che questa è considerata la più riuscita tra le opere dei Lamb. Mi guarderò bene dall'approfondire oltre.

lunedì 11 luglio 2016

Streghe, streghe, streghe!

Dopo il post sulle streghe bambine mi è venuta voglia di fare un tuffo nel mio passato letterario stregonesco. :D
Non so per quale ragione esattamente, ma sono stata attratta dai libri di streghe e magia fin da molto piccola. In verità si può definirla una vera e propria ossessione, che ha allarmato a suo tempo la mia maestra prima e mia mamma poi. Povera madre, la ricordo ancora che, dopo avermi comprato l'ennesimo Superjunior Mondadori e qualche Giallo Mondadori a base soprannaturale, mi chiedeva severa di acquistare dei Gaia Junior. Ricordo di averne comprati tre: tutti con protagoniste delle streghe. Madre ha desistito...

In verità credo che le streghe mi abbiano sempre affascinato per due caratteristiche: sono donne e hanno potere. Non un potere siglato da un'elezione, da un diritto di nascita o preso con la forza. Il potere vero, quello che ti nasce da dentro e che la gente, per quanto non voglia, è costretta ad ammettere.
Evidentemente sono sempre stata una personcina tranquilla e sottomessa che non covava idee di indipendenza e conquista del mondo...

Negli anni ho letto molti libri le cui protagoniste erano più o meno legate alla magia e alla stregoneria. Alcuni erano storici, altri comici, alcuni erano romanzi horror, altri saggi o testi di spiritualità. Ho spaziato parecchio e il mio cuore è colmo di gioia nella consapevolezza che non riuscirò mai a leggere tutto ciò che il mercato ci offre sull'argomento.
Di certo non ho alcuna presunzione di poter creare una lista completa o rilevante di libri connessi al tema streghe. Vorrei piuttosto condividere l'entusiasmo che alcune opere hanno fatto nascere in me all'epoca e, se può interessare, far nascere la voglia di andarle a ripescare. Ci tengo a sottolineare che la maggior parte dei libri che citerò risalgono alla mia infanzia o prima adolescenza, quindi stiamo parlando di romanzi o testi leggeri e spesso divertenti.

Dunque, cominciamo!

Più riguardo a Il Manuale delle StregheCredo di non aver mai trovato un libro che io abbia amato tanto quanto "Il manuale delle streghe", di Malcolm Bird. Non ricordo nemmeno quanti anni avevo la prima volta che lo lessi, ma da allora è stato un continuo rileggerlo, sfogliarlo, riscoprirlo.
E' un testo esilarante, brillante, geniale, che riesce con successo ad associare la versione più grottesca delle streghe (quelle brutte, diciamo) ad una normalità, una quotidianità disarmante.
Questo libricino illustrato magistralmente contiene idee per dolcetti di Halloween e giochi per le feste, una carrellata di animali domestici che possono diventare buoni famigli, il giardino della strega compreso di lumaconi e schemi per lavorare a maglia, così da creare guanti, sciarpe e accessori decorati di teschi e pipistrelli. E ancora filastrocche e chi più ne ha più ne metta. Ci sono pagine che ancora ricordo a memoria e che mi mettono sempre di buon umore.
Se c'è un libro che mi ha fatto innamorare delle streghe è decisamente questo.


Più riguardo a Gobbolino the Witch's CatEra una notte buia e tempestosa quando due gattini misero per la prima volta il loro freddo nasino fuori dalla grotta in cui erano nati. Era buio che Gobbolino riusciva a malapena a vedere la sua gattina gemella Sutica, che era nera come la notte...
Ho scritto queste poche righe senza nemmeno dover consultare il testo originale. Ho imparato a memoria questo racconto che ancora non sapevo leggere né scrivere e da allora è rimasto impresso nel mio cuore. Le avventure del gattino Gobbolino, nato in una famiglia di gatti di strega ma desideroso di diventare un gatto di casa, sono state messe sul mercato in italiano nella raccolta del anni '80 "I Racconta Storie" e credo che centinaia di trentenni continuino ad amare e ricordare Gobbolino come uno dei personaggi più dolci e coraggiosi della propria infanzia.
Gobbolino affronta molte prove e si ritrova, a causa della propria origine stregonesca, rifiutato e allontanato da una casa dopo l'altra, ma non desiste nella ricerca di un posto tutto per sé e non lascia che le esperienze negative lo cambino, rendendolo prevenuto e rancoroso. Persino il legame con la sorella Sutica, che invece continuerà la carriera familiare e diventerà una gatta di strega, rinnegandolo, rimane fino alla fine forte nel suo cuore.
La mia prima gattina era tutta nera e io scelsi per lei il nome Sutica. E' stata un strega tutta la vita e non mi ha mai delusa.

Più riguardo a Il Piccolo PopoloCi sono molti bellissimi libri illustrati pubblicati in collane per bambini a tema streghe. Uno dei miei preferiti è quello di Francesca Lazzarato appartenente alla serie "Il piccolo popolo". Il taglio di questo libretto pieno di colori è da un certo punto di vista fortemente infantile ma non per questo vuole essere buffo o consolatorio. Le streghe vengono presentate come da tradizione, alcune belle e altre brutte, buone o cattive, corredate di tutte le superstizioni e le dicerie ad esse connesse. Ho sempre trovato molto bella la breve carrellata di streghe dal mondo che l'autrice ci regala, introducendo ai giovani lettori non solo le più peculiari streghe regionali d'Italia, come Donaze o Masciara, ma anche dal mondo. Quanto è terrificante Baba-Jaga? E Black Annis?
In appendice al volume ci sono anche alcune fiabe da tutto il mondo con streghe come protagoniste. Non avevo mai sentito parlare della maggior parte delle storie raccontate ed è stato davvero piacevole imparare a conoscerle.


Più riguardo a Le streghe Un elenco degli imperdibili a tema streghe non sarebbe mai completo se non comprendesse anche "Le streghe" ("The witches") di Roald Dahl.
Quest'autore è un certezza e ogni romanzo scritto da lui racchiude un piccolo tesoro. In questo caso Dahl ci insegna come riconoscere le streghe tra le tante donne normali; ci insegna a stare sempre all'erta, perché non sappiamo dove potremo incontrarne una, visto che si mischiano alla gente e amano frequentare posti pubblici, in cui è più facile avvicinarsi ai bambini. Soprattutto Dahl ci mostra cosa può succedere a un bambino curioso che credendosi più furbo delle streghe, o forse soltanto molto coraggioso, decide di scoprire tutti i loro segreti...
"Le streghe" è un romanzo davvero emozionante, ricco di colpi di scena e con un finale a mio parere inatteso. L'ho riletto nel corso degli anni e lo uso spesso per insegnare inglese, visto che lo stile narrativo e il lessico utilizzato (in lingua originale, si intende...) si adattano perfettamente a quello di studenti di livello intermedio.

Più riguardo a Wintersmith
Una rappresentazione delle streghe per adulti, ma non proprio adulti. La capacità di raccontare un lato molto delicato e profondo delle streghe con ironia, pur mantenendo un costante rispetto per le funzioni e le caratteristiche che associa loro. Terry Pratchett ha scritto molto, nella sua serie del Mondodisco, o Discworld in lingua originale, sulle streghe. Possiamo dire che la sua produzione si articola in due filoni, che finiscono per confluire con l'ultimo romanzo pubblicato postumo: il ciclo delle streghe, la cui protagonista assoluta è Granny Weatherwax, e il ciclo di Tiffany Aching.
I romanzi sono tanti e "Wintersmith" ("La corona di ghiaccio" nella versione italiana) è solo uno dei tanti, anche se secondo me è uno dei più significativi.
Ciò che mi piace delle streghe di Pratchett è il ruolo sociale che esse svolgono. Lungi dall'essere quelle malefiche incantatrici il cui unico pensiero è il potere, per quest'autore le streghe sono coloro che si occupano della popolazione. Se ne fanno carico, assistendoli dalla nascita alla morte, aiutando le persone a guarire o sanando conflitti di natura più sociale/psicologica. Le streghe sono temute dalla popolazione e per questo rispettate e ascoltate; il popolo sa che, per quanto le streghe non piacciano, hanno bisogno di loro. E nella loro solitudine, nell'abnegazione al servizio che le caratterizza, esse sanno che sono indispensabili, perché qualcuno deve prendersi le responsabilità di fare le scelte difficili per tutti e farsi odiare magari per questo, o perché ci sono lavori che nessuno vuole fare ed è lì che loro operano. Per me è stato un balsamo per il cuore leggere di questa rivisitazione di personaggi tradizionalmente negativi e Pratchett dimostra una profondità di sentimento e giudizio non comuni nel corso di queste due serie. Assolutamente da non perdere, ovvio...

Più riguardo a The Witching Hour: v. 1In conclusione mi è sembrato giusto elencare almeno un'opera della maturità, ovvero adatta ad un pubblico di soli adulti.
"L'ora delle streghe" ("The witching hour" in inglese) è il primo di una trilogia che Anne Rice, più famosa per i suoi vampiri con un debole per i media, ha dedicato non a una strega, ma a una famiglia intera. La famiglia Mayfair si è tramandata poteri e conoscenze insoliti di generazione in generazione, rispettando una linea quasi del tutto femminile (ma non totalmente) che la Rice ci aiuta a ripercorre, scoprendo così la loro storia fino all'ultima discendente, una giovane donna indipendente e brillante. All'interno di questo primo libro, che ha una mole di tutto rispetto, si trova un po' di tutto: amore romantico e colpi di scena, attimi di brivido e persino qualche cenno comico, ma tutto confluisce in un crescendo nel disturbante finale. Sicuramente ogni cultore del genere stregonesco non può dirsi tale fino a che non avrà tenuto tra le proprie mani questo libro.
Ad esso sono seguiti "Il demone incarnato" ("Lasher") e "Taltos, il ritorno" ("Taltos") e purtroppo per i lettori pigri temo che una volta divorato il primo non si possa fare a meno di ingurgitare anche gli altri due...

Le streghe adulte che ho amato di più, tuttavia, sono probabilmente quelle ritratte nei grandi miti classici e che incarnano non solo il mistero e la carica autodistruttiva tipica delle streghe, ma anche una verità più dolorosa, vale a dire la misoginia che giunge in alcuni momenti a punte di vera e propria ginofobia, istinti difensivi che si scatenano negli uomini di fronte a una donna di potere. Gli antichi greci, che sapevano già tutto, ci presentano svariate figure di donne forti e terribili, come Circe o, forse la più drammatica di tutte, Medea. Meravigliosa, tragica, mostruosa Medea, che possiede il potere antico e barbaro della magia e lo dona a Giasone per amore; e allo stesso modo per odio rivolta la propria furia contro quell'uomo, calpestando ogni convenzione e ogni sentimento umano, persino la propria maternità.
Forse è questa la figura che più vorrei portare con me, alla fine di questa breve lista. Perché lei manifesta in modo perfetto le qualità della donna-strega che si cela nell'animo di ogni donna potente, per quanto ci faccia sentire più al sicuro pensarla come una vecchia mangiatrice di bambini che vive nel bosco.

mercoledì 6 luglio 2016

18. Eveline Hasler - La strega bambina

Più riguardo a La strega bambinaSono sempre stata attratta dai libri in cui le streghe sono le protagoniste, nel bene o nel male, nella fantasia o nella cruda e tragica realtà. Il ciclo delle streghe è il mio preferito nella produzione di Terry Pratchett (e in esso metterei anche Tiffany, visto che ad un certo punto si intrecciano), ho molto amato la famiglia Mayfair della Rice così come i curiosi volumetti che si possono trovare in commercio in cui abbondano descrizioni di streghe nella tradizione locale.
E' chiaro quindi perché un titolo come "La strega bambina" mi abbia attratto istantaneamente. (Il titolo originale, "Die Vogelmacherin", letteralmente "la creatrice di uccelli" avrebbe avuto molto senso avendo letto la storia ma forse mi avrebbe colpito meno...) Leggendo poi il retro di copertina mi sono convinta a comprarlo.

Stavolta però non si tratta di una storia di fantasia, purtroppo, ma della stesura romanzata di eventi reali risalenti al 1600 in Svizzera e registrati negli atti giudiziari consultabili negli Archivi di Stato.
Il racconto di un'epoca mostruosa, che spesso confondiamo con il Medioevo ma che in realtà è l'inizio della modernità, un periodo in cui la caccia alle streghe imperversava in tutto il mondo occidentale, unendo miracolosamente Cattolici e Protestanti. Spesso pensiamo che le vittime predilette di questi uomini crudeli e ossessionati dal peccato (e dal sesso in particolare) siano state le donne, specialmente quelle dotate di un carattere forte e di un po' di conoscenza tradizionale dell'erboristeria. Questo è certamente vero, ma il libro della Hasler accende i riflettori su un altro fenomeno drammaticamente diffuso: quello delle streghe bambine.

Quali bambini e bambine finivano tra le grinfie dell'Inquisizione? Orfani e figli di genitori assenti, malati o avvinazzati, bambini abbandonati a se stessi e già abusati dagli adulti dei paesi in cui vivevano. Bambini che forse per fame, forse per sofferenza psicologica o per solitudine si comportavano in modo inusuale, erano aggressivi o violenti, rifiutavano la preghiera, raccontavano storielle fantastiche di poteri soprannaturali e creature incantate. La gente, incoraggiata dai preti, amava dare la colpa delle proprie disgrazie, tra cui malattie e infestazioni, ad agenti del male e queste creature, sprovviste di chi avrebbe dovuto proteggerle, finivano per essere arrestate, torturate fino ad ottenere una falsa confessione e infine uccise.

La Hasler ha investigato i casi di bambini accusati di stregoneria in Svizzera, dove vive, e nel sud della Germania, nella regione della Svevia, scegliendo poi due storie/simbolo. La prima ha per protagonista Katharina Schmidlin, una bambina di 11 anni che fu bruciata sul rogo nel 1652 a Lucerna; la seconda vicenda vede implicati addirittura due bambini, fratello e sorella, arrestati all'età di 9 e 11 anni rispettivamente e passati a fil di spada 4 anni più tardi, nel villaggio di Buchau, anno 1658. Credo che l'autrice abbia scelto proprio questi due processi per la carica emotiva con cui l'hanno colpita ad una prima lettura; di certo non ha avuto difficoltà nel trovare esempi affini. Ce ne fornisce una lista lei stessa, citando solo i casi che ebbero luogo tra il 1652 e il 1659 a Lucerna:

1652: Katharina Schmidlin, 11 anni
1653: Maria Wüst, 13 anni
1658: Maria Madleneli, 11 anni
1659: Jost Ludin, 12 anni
1659: Katharineli Bienz, 7 anni
1659: Katharina Ruots, 7 anni

Roba da far gelare il sangue nelle vene, soprattutto una volta letto il trattamento riservato a questi poveri bambini caduti nelle mani dei propri assassini. Il romanzo ce ne dà un assaggio, sottolineando in particolare l'ossessione con cui i magistrati tornano insistentemente sul tema del sesso, domandando dettagli, imboccando le risposte e, molto probabilmente, allungando ogni tanto le mani sui bambini processati. E' quasi certo che almeno la prima dei bambini citati, Katharina Schmidlin, sia stata ripetutamente violentata durante la prigionia, sebbene non sia chiaro ad opera di chi; probabilmente si trattava di uno dei suoi guardiani.
Invariabilmente i bambini cedevano alle prime torture e confessavano qualsiasi cosa, dando prova di una fantasia galoppante. Non comprendendo le logiche degli adulti ma solo le pressioni operate su di loro, trovavano nella confessione il miglior modo di tenere a bada i propri torturatori. La loro fine non poteva che essere la morte e non mi sorprende che alcuni di loro, dopo aver sopportato mesi di abusi e violenze da parte dei sacerdoti che li dovevano interrogare, arrivassero a rinnegare Dio in punto di morte.

Al giorno d'oggi l'uccisione di un bambino è un delitto inconcepibile, che non può avere attenuanti né perdono. Non dobbiamo però dare per scontato che il sentimento sia sempre stato lo stesso, specialmente nei secoli scorsi, quando la mortalità infantile e la natalità erano assai più alte di oggi. L'autrice sottolinea questo particolare con le parole d'apertura del romanzo.

Gli uccelli e i bambini non costano niente [...] e quel che non costa non conta, è disperso dal vento in un nonnulla: di dieci che ne nascono, cinque muoiono comunque presto e, non appena la piccola bara è sotterra, eccone già un altro crescere nel ventre della madre.
In questi villaggi [...] vi sono uccelli e bambini a profusione, nella calca ne cadono dai nidi e dai letti.

Uno dei dettagli che più colpisce chi conosce un po' la regione in cui è ambientata la vicenda è certamente lo stridente contrasto tra il paesaggio, che offre scorci di rara bellezza, e la brutalità delle persone che vi abitano. Quello nella foto è il Federsee, o lago di Feder, attorno al quale si svolge la storia. Sebbene sia molto cambiata, si può ancora intuire la natura incontaminata del tempo, le paludi ricche di canne, di centinaia di specie vegetali autoctone tra cui persino un'orchidea, e gli uccelli che popolavano questo piccolo mondo a migliaia.
So bene che per le popolazioni dell'epoca l'ambiente palustre era sinonimo di umidità, nebbia, e più in generale di un clima malsano, eppure nel corso del romanzo ciò che colpisce il lettore è la ricchezza, la pace e il mistero femminile, quasi materno, racchiuso in quelle acque, che si scontra drammaticamente con la durezza, la spietata intransigenza e l'assoluta assenza di emotività dell'ambiente religioso. Per i bambini protagonisti delle storie, che sono rimasti senza genitori o in particolare senza una madre che si prenda cura di loro, la palude diventa una seconda madre, una fata buona che consola, racconta storie e svela segreti ai piccoli, l'unico posto in cui nascondersi dal crudele mondo degli adulti.

Adulti che fanno proprio una brutta figura. Dal primo all'ultimo, laici e religiosi, cattolici e protestanti, gente comune e aristocratici, cappuccini, dominicani o gesuiti, tutti sono intenti a trarre il proprio profitto dalle vicende e non conoscono empatia né pena per chi è stato meno fortunato. Soltanto due sono le figure che si differenziano dalla massa accusatrice: un gesuita dall'animo mite e giusto, che si ritrova casualmente a seguire entrambi i processi per stregoneria, il primo da molto vicino in qualità di confessore e il secondo solo di sfuggita ma con grande sofferenza, e una giovane nobildonna che ha scelto il convento invece del matrimonio, alla ricerca di pace e tempo per la propria arte.

Questo libro, dunque, mi è piaciuto o no? Lo consiglierei?
A mio parere questo romanzo ha un valore storico più che letterario. E' una lettura interessante per chi è attratto dalla tematica e vuole saperne un po' di più, ma l'autrice non ha a mio parere le doti artistiche necessarie a trasmettere tutta la drammaticità della vicenda. Sebbene mi sia rattristata per questi bambini, lo stile altalenante, a volte quasi poetico e onirico, poi diretto e scarno, danno alla lettura un andamento un po' zoppicante.
Certo questo non offusca la qualità delle informazioni, tutte doviziosamente documentate. Purtroppo, come ho detto in apertura, non è un'opera di fantasia, e come tale il romanzo vanta un pregio che va ben oltre il mero livello narrativo.

sabato 2 luglio 2016

17. Shirley Jackson - L'incubo di Hill House

Più riguardo a L'incubo di Hill House"Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant'anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva da sola."

Gli incipit a volte riescono davvero ad affascinarci e a trascinarci con sé nel mondo creato per noi dallo scrittore. In questo caso l'autrice del romanzo "L'incubo di Hill House" ("The haunting of Hill House"), Shirley Jackson, ha fatto davvero un buon lavoro.
Fin dalle prime parole infatti ci troviamo faccia a faccia con la Casa. Questo edificio contorto e dall'aspetto abominevole, pervaso dall'oscurità e da un silenzio tombale, ci è subito presentato come uno dei personaggi principali, nonché l'incarnazione stessa del male. Non solo, l'attenzione va subito a quell'aggettivo, "sano", e ci introduce così al tema della pazzia.

Questo romanzo è presentato come uno dei più riusciti esempi di casa infestata in letteratura. Io mi sento di dissentire immediatamente: considero infatti fuorviante la dicitura "infestata", perché non credo che Hill House sia abitata da fantasmi; almeno, non è questo ciò a cui si assiste nella descrizione delle vicende. Ritengo invece che questa sia una storia di poltergeist e rappresenti magistralmente una delle spiegazioni più accreditate finora data dalla parapsicologia a questo fenomeno.
Cosa sono i poltergeist? Si tratta di fenomeni spiritici, sicuramente guardati con scetticismo dagli scienziati, che si manifestano in vario modo all'interno di un'abitazione. Si spazia dai classici oggetti che si muovono e dai colpi ripetuti ("poltern" in tedesco significa proprio "fare casino"), fino a espressioni molto più violente, come pietre che cadono da direzioni incomprensibili, pozze d'acqua, voci e rumori e persino scritte sui muri. Ecco, chi ha letto questo romanzo potrà riconoscere quasi tutto ciò che ho elencato.
Molte persone ritengono che i poltergeist siano quindi degli spiriti inquieti e malevoli che si impossessano della casa e fanno di tutto per spaventarne gli abitanti, spingendoli a scappare. Tuttavia questa non è la spiegazione più classica data a questi fenomeni. Prima di tutto si ritiene che non siano legati alla casa, ma a un individuo, detto persona focale, e che siano una manifestazione di energia inconscia prodotta da quest'ultimo in particolari condizioni. Non si tratta quindi di spiriti e fantasmi, ma di persone disturbate, spesso represse e che hanno vissuto drammatiche esperienze infantili di carattere sessuale o conflittuale coi genitori: alcuni di essi, in situazioni di particolare difficoltà emotiva o di squilibrio dovuto a cambiamenti o turbamenti, ad esempio in età adolescenziale, esternerebbero i propri conflitti interiori, rappresentati spesso dalle emozioni più negative e distruttive, in una serie di fenomeni aggressivi che vanno sotto il generico nome di poltergeist.

Tornando al romanzo, subito dopo averci presentato la casa l'autrice introduce gli altri protagonisti: il professor Montague, antropologo con ambizioni da parapsicologo intenzionato a studiare Hill House per la sua fama; Luke Sanderson, simpatico buono a nulla di famiglia benestante e legittimo erede (quindi futuro proprietario) di Hill House; Theodora, ragazza affascinante e forse un po' libertina, che pare poter leggere nella mente, o almeno entrare in empatia con chi la circonda; e infine Eleanor Vance, una giovane donna incline a daydreaming (i sogni ad occhi aperti) che, dopo la morte della madre malata che le era stata affidata per undici anni, è alla ricerca di nuove esperienze, amicizie, e di un posto tutto suo, dove trovare pace e sentirsi amata. E' proprio attraverso gli occhi di Eleanor che la storia si dipana davanti a noi; è lei che si guarda intorno, che nota, giudica, ricorda o confonde avvenimenti, in un alternarsi di sogno e realtà, finzione e impressioni. Eleanor non è una donna che si possa definire equilibrata: la sua è un'altalena di emozione continua, tra gioia e rabbia, paranoia, frustrazione e senso di colpo, ansia da prestazione, senso di inferiorità e manie di protagonismo. A tratti dolce e ingenua come una bambina, quasi sempre insicura e intimidita dalla vita, si trasforma nel giro di poche righe in una giovane isterica ed egoista, capricciosa come una bambina.

Con queste premesse non è difficile immaginare chi io pensi sia il fulcro delle attività paranormali di Hill House... Come ella stessa riconosce ad un certo punto della vicenda, Eleanor si trova nell'occhio del ciclone, ed è seguendo la sua narrazione che il lettore deve cercare di farsi un'idea di ciò che sta davvero accadendo.
Quanto di ciò che Eleanor racconta è reale e quanto invece è frutto della sua mente alterata, che sembra via via sempre più incline alla pazzia?
Le esperienze paranormali che i quattro vivono sono frutto di poltergeist generati da lei o si tratta invece dei fantasmi che infestano Hill House? O non sarà piuttosto un caso di allucinazioni collettive, influenzate dall'atmosfera tetra della casa e dall'esaltazione dei membri più influenzabili (in questo caso le due donne)?
I dettagli a supporto di una o dell'altra tesi sono molti e contraddittori; come ne "Il giro di vite" di Henry James non si può escludere l'una o l'altra opzione in modo definitivo. Quello che è certo è che la ricerca della verità è appassionante e, col procedere della storia, al lettore non vengono risparmiati brividi, sospetti, sorprese e perplessità.

In verità quest'opera mi ha ricordato molto "Il giro di vite", nonostante lo stile e l'intenzione dell'autrice fossero totalmente diversi. Sebbene sia considerato un romanzo horror, non si tratta del tipico rappresentante del genere: niente teste mozzate, niente fantasmi chiaramente visibili, niente gente scuoiata. In verità l'orrore risiede totalmente nei suoni, nell'intravisto, nelle piccole alterazioni della realtà, e in ciò che i protagonisti credono di vedere. E' il terror quello che tiene il lettore incollato alle pagine e che lascia in fondo alla gola quello strano misto di inquietudine e confusione. Quella sensazione che ti fa dire "Ma non saranno semplicemente un manipolo di esaltati?"

Tutto sommato posso dire che "L'incubo di Hill House" mi è piaciuto, pur lasciando qualche pezzo del puzzle mancante o di troppo, in un'accozzaglia di dettagli che a tratti confonde. E' un romanzo che si legge in un baleno, inquietante senza essere troppo pauroso, ben lontano dagli splatter a cui ci hanno abituato gli horror moderni. Come ho letto, è basato sul terror invece che sull'horror, sul non detto e sull'inconoscibile, mentre il mostro rimane nascosto, forse perché non esiste o forse perché è dentro di noi.

In chiusura devo purtroppo dire che da questo romanzo sono stati tratti due film di cui il più recente, "The haunting", con Liam Neeson e Catherine Zeta-Jones, non c'entra nulla con l'originale ed è stato un flop piuttosto meritato. Il più vecchio, nella versione italiana intitolato "Gli invasati", invece, è piuttosto fedele all'originale e godibile, nonostante io sia dell'idea che la rappresentazione grafica non giovi affatto a questo genere di libro. Diffidate dunque dalle trasposizioni cinematografiche e leggete l'originale se cercate una storia di poltergeist, che è meglio!