E' chiaro quindi perché un titolo come "La strega bambina" mi abbia attratto istantaneamente. (Il titolo originale, "Die Vogelmacherin", letteralmente "la creatrice di uccelli" avrebbe avuto molto senso avendo letto la storia ma forse mi avrebbe colpito meno...) Leggendo poi il retro di copertina mi sono convinta a comprarlo.
Stavolta però non si tratta di una storia di fantasia, purtroppo, ma della stesura romanzata di eventi reali risalenti al 1600 in Svizzera e registrati negli atti giudiziari consultabili negli Archivi di Stato.
Il racconto di un'epoca mostruosa, che spesso confondiamo con il Medioevo ma che in realtà è l'inizio della modernità, un periodo in cui la caccia alle streghe imperversava in tutto il mondo occidentale, unendo miracolosamente Cattolici e Protestanti. Spesso pensiamo che le vittime predilette di questi uomini crudeli e ossessionati dal peccato (e dal sesso in particolare) siano state le donne, specialmente quelle dotate di un carattere forte e di un po' di conoscenza tradizionale dell'erboristeria. Questo è certamente vero, ma il libro della Hasler accende i riflettori su un altro fenomeno drammaticamente diffuso: quello delle streghe bambine.
Quali bambini e bambine finivano tra le grinfie dell'Inquisizione? Orfani e figli di genitori assenti, malati o avvinazzati, bambini abbandonati a se stessi e già abusati dagli adulti dei paesi in cui vivevano. Bambini che forse per fame, forse per sofferenza psicologica o per solitudine si comportavano in modo inusuale, erano aggressivi o violenti, rifiutavano la preghiera, raccontavano storielle fantastiche di poteri soprannaturali e creature incantate. La gente, incoraggiata dai preti, amava dare la colpa delle proprie disgrazie, tra cui malattie e infestazioni, ad agenti del male e queste creature, sprovviste di chi avrebbe dovuto proteggerle, finivano per essere arrestate, torturate fino ad ottenere una falsa confessione e infine uccise.
La Hasler ha investigato i casi di bambini accusati di stregoneria in Svizzera, dove vive, e nel sud della Germania, nella regione della Svevia, scegliendo poi due storie/simbolo. La prima ha per protagonista Katharina Schmidlin, una bambina di 11 anni che fu bruciata sul rogo nel 1652 a Lucerna; la seconda vicenda vede implicati addirittura due bambini, fratello e sorella, arrestati all'età di 9 e 11 anni rispettivamente e passati a fil di spada 4 anni più tardi, nel villaggio di Buchau, anno 1658. Credo che l'autrice abbia scelto proprio questi due processi per la carica emotiva con cui l'hanno colpita ad una prima lettura; di certo non ha avuto difficoltà nel trovare esempi affini. Ce ne fornisce una lista lei stessa, citando solo i casi che ebbero luogo tra il 1652 e il 1659 a Lucerna:
1652: Katharina Schmidlin, 11 anni
1653: Maria Wüst, 13 anni
1658: Maria Madleneli, 11 anni
1659: Jost Ludin, 12 anni
1659: Katharineli Bienz, 7 anni
1659: Katharina Ruots, 7 anni
Roba da far gelare il sangue nelle vene, soprattutto una volta letto il trattamento riservato a questi poveri bambini caduti nelle mani dei propri assassini. Il romanzo ce ne dà un assaggio, sottolineando in particolare l'ossessione con cui i magistrati tornano insistentemente sul tema del sesso, domandando dettagli, imboccando le risposte e, molto probabilmente, allungando ogni tanto le mani sui bambini processati. E' quasi certo che almeno la prima dei bambini citati, Katharina Schmidlin, sia stata ripetutamente violentata durante la prigionia, sebbene non sia chiaro ad opera di chi; probabilmente si trattava di uno dei suoi guardiani.
Invariabilmente i bambini cedevano alle prime torture e confessavano qualsiasi cosa, dando prova di una fantasia galoppante. Non comprendendo le logiche degli adulti ma solo le pressioni operate su di loro, trovavano nella confessione il miglior modo di tenere a bada i propri torturatori. La loro fine non poteva che essere la morte e non mi sorprende che alcuni di loro, dopo aver sopportato mesi di abusi e violenze da parte dei sacerdoti che li dovevano interrogare, arrivassero a rinnegare Dio in punto di morte.
Al giorno d'oggi l'uccisione di un bambino è un delitto inconcepibile, che non può avere attenuanti né perdono. Non dobbiamo però dare per scontato che il sentimento sia sempre stato lo stesso, specialmente nei secoli scorsi, quando la mortalità infantile e la natalità erano assai più alte di oggi. L'autrice sottolinea questo particolare con le parole d'apertura del romanzo.
Gli uccelli e i bambini non costano niente [...] e quel che non costa non conta, è disperso dal vento in un nonnulla: di dieci che ne nascono, cinque muoiono comunque presto e, non appena la piccola bara è sotterra, eccone già un altro crescere nel ventre della madre.
In questi villaggi [...] vi sono uccelli e bambini a profusione, nella calca ne cadono dai nidi e dai letti.
Uno dei dettagli che più colpisce chi conosce un po' la regione in cui è ambientata la vicenda è certamente lo stridente contrasto tra il paesaggio, che offre scorci di rara bellezza, e la brutalità delle persone che vi abitano. Quello nella foto è il Federsee, o lago di Feder, attorno al quale si svolge la storia. Sebbene sia molto cambiata, si può ancora intuire la natura incontaminata del tempo, le paludi ricche di canne, di centinaia di specie vegetali autoctone tra cui persino un'orchidea, e gli uccelli che popolavano questo piccolo mondo a migliaia.
So bene che per le popolazioni dell'epoca l'ambiente palustre era sinonimo di umidità, nebbia, e più in generale di un clima malsano, eppure nel corso del romanzo ciò che colpisce il lettore è la ricchezza, la pace e il mistero femminile, quasi materno, racchiuso in quelle acque, che si scontra drammaticamente con la durezza, la spietata intransigenza e l'assoluta assenza di emotività dell'ambiente religioso. Per i bambini protagonisti delle storie, che sono rimasti senza genitori o in particolare senza una madre che si prenda cura di loro, la palude diventa una seconda madre, una fata buona che consola, racconta storie e svela segreti ai piccoli, l'unico posto in cui nascondersi dal crudele mondo degli adulti.
Adulti che fanno proprio una brutta figura. Dal primo all'ultimo, laici e religiosi, cattolici e protestanti, gente comune e aristocratici, cappuccini, dominicani o gesuiti, tutti sono intenti a trarre il proprio profitto dalle vicende e non conoscono empatia né pena per chi è stato meno fortunato. Soltanto due sono le figure che si differenziano dalla massa accusatrice: un gesuita dall'animo mite e giusto, che si ritrova casualmente a seguire entrambi i processi per stregoneria, il primo da molto vicino in qualità di confessore e il secondo solo di sfuggita ma con grande sofferenza, e una giovane nobildonna che ha scelto il convento invece del matrimonio, alla ricerca di pace e tempo per la propria arte.
Questo libro, dunque, mi è piaciuto o no? Lo consiglierei?
A mio parere questo romanzo ha un valore storico più che letterario. E' una lettura interessante per chi è attratto dalla tematica e vuole saperne un po' di più, ma l'autrice non ha a mio parere le doti artistiche necessarie a trasmettere tutta la drammaticità della vicenda. Sebbene mi sia rattristata per questi bambini, lo stile altalenante, a volte quasi poetico e onirico, poi diretto e scarno, danno alla lettura un andamento un po' zoppicante.
Certo questo non offusca la qualità delle informazioni, tutte doviziosamente documentate. Purtroppo, come ho detto in apertura, non è un'opera di fantasia, e come tale il romanzo vanta un pregio che va ben oltre il mero livello narrativo.
A chi non piacciono le streghe?
RispondiEliminaPerò questo libro mi sembra di una tristezza insostenibile. O, almeno, non sostenibile per me adesso.
E' abbastanza triste. E' anche abbastanza squallido per certi tratti. Cioè, non è il libro che è squallido, ma lo è la realtà che racconta. Triste, sì, decisamente...
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