giovedì 22 giugno 2017

56. Agostino - Alberto Moravia

Più riguardo a AgostinoQuesto romanzo è il primo che leggo di Moravia. Conosco quest'autore per fama, ma non avevo mai avvicinato uno dei suoi scritti. "Agostino" mi ha attirato, un po' mi vergogno a dirlo, per la sua brevità prima di tutto. Inoltre la tematica, cioè il passaggio del protagonista dall'infanzia all'adolescenza, mi ha sempre affascinato. Quindi ho deciso che fosse giunta l'ora e l'ho letto tutto d'un fiato.

Non si può davvero definire "Agostino" un romanzo, quanto un racconto lungo (126 pagine), diviso in quattro parti. Il titolo altro non è che il nome del protagonista, un ragazzo di tredici anni di famiglia agiata in vacanza con la madre al mare. Orfano di padre, la madre rappresenta tutto il suo mondo familiare, la sua sicurezza e l'amore incondizionato e puro. Questo finché non arriva una figura maschile ad interporsi tra lei ed Agostino, un giovane per cui la madre cambia atteggiamento e si rivela donna.

"Agostino" è una storia di iniziazioni, di scoperte del mondo e di passaggio dall'innocente ignoranza fanciullesca alla dolorosa e tormentata consapevolezza adolescenziale.
La prima iniziazione è quella sessuale. Agostino, grazie ad un gruppetto di ragazzi del paese, scopre l'amore fisico, carnale, e si rende conto che sua madre è, ahimè, una donna, e pure desiderabile. La tematica edipica è fortissima e trattata magistralmente. Nel momento in cui Agostino scopre il significato dei gesti, degli atteggiamenti e più in generale dei rapporti tra uomo e donna (e di conseguenza della madre col bellimbusto, non a caso entrambi senza nome) si accende dentro di lui qualcosa di mai provato prima, di sconosciuto ed inesplorato. Giunto completamente innocente fino a 13 anni, per Agostino è il momento di fare i conti con le proprie pulsioni sessuali, e ancora prima con le proprie fantasie erotiche. Sì, perché di fisico c'è davvero poco in questo romanzo, mentre molto è pensato, fantasticato, immaginato, come il vedo-non vedo delle vestaglie indossate dalle donne nella storia.
Non concordo con l'introduzione al romanzo, che vede Agostino andare "pericolosamente vicino al desiderio edipico": Agostino nel desiderio edipico ci sguazza fino al collo, ed è proprio questo il suo tormento e la fonte del suo malessere. Una volta presa consapevolezza del fatto che la madre è una donna e come tale desiderabile e desiderosa di contatto sessuale a sua volta, Agostino lavora con tutte le sue forze per cercare di mettere tra loro una barriera, una distanza che gli restituisca la serenità.

Gli pareva che il giorno in cui non avesse visto in sua madre che la bella persona che ci scorgevano il Saro e i ragazzi, ogni infelicità sarebbe scomparsa; e si accaniva a ricercare le occasioni che lo confermassero in questa convinzione. Ma con il solo risultato di sostituire la crudeltà all'antica riverenza e la sensualità all'affetto.
La madre, come in passato, non si nascondeva in casa dai suoi occhi di cui non avvertiva lo sguardo cambiato; e maternamente impudica, pareva ad Agostino che quasi lo provocasse e lo ricercasse. [...] Si ripeteva "Non è che una donna," con un'indifferenza obbiettiva di conoscitore; ma un momento dopo, non sopportando più l'inconsapevolezza materna e la propria attenzione, avrebbe voluto gridarle: "Copriti, lasciami, non farti più vedere, non sono più quello di un tempo."

Agostino cerca per tutto il romanzo, invano, di esorcizzare questa nuova sessualità. Alla fine dovrà accettare che non è giunto ancora il momento, per lui, di viverla attivamente, ma dovrà sopportare il peso di queste fantasie per il resto della sua adolescenza.

Gli artefici del cambiamento in Agostino sono una banda di ragazzotti di Viareggio, dove lui sta trascorrendo le vacanze. Il gruppo è quanto di più dissimile da ciò che lui è e dal mondo in cui normalmente vive, in cui è cresciuto e di cui fa parte. Sono villani nel senso più letterale, paesani rozzi e violenti. Sono ragazzi delle classi sociali più basse. Agostino non aveva mai trascorso del tempo con ragazzi come questi, prima, e vive una costante contrapposizione di sentimenti: li disprezza, li trova sporchi, rudi e volgari, inferiori, eppure desidera stare con loro, diventare uno di loro, partecipare ai loro giochi, ai loro divertimenti. L'imbruttimento di Agostino, la maschera che sceglie di indossare nella speranza di essere accettato, cosa che non avverrà mai, è la seconda iniziazione all'interno del libro. In quanto bambino non aveva mai pensato che altri fanciulli della sua età potessero essere diversi. Non aveva mai preso in considerazione la vita di chi non era fortunato come lui, perché non sapeva nemmeno esistesse un'altra vita. Non è un'esistenza che gli piace davvero, perché spesso la sua tentazione profonda è di allontanarsi anche dai pari, ma essi sono qualcosa di diverso e lo straniamento che prova in loro compagnia lo distrae un po' dal disagio che vive in casa.
Moravia descrive questi ragazzi con un occhio critico che rivela un certo disgusto, un senso dell'inferiorità di questa masnada di adolescenti.

Erano, contro lo sfondo delle canne verdi in parte bruni e in parte bianchi, di una bianchezza squallida e villosa, dall'inguine fino ala pancia; e questa bianchezza rivelava nei loro corpi quel non so che di storto, di sgraziato e di eccessivamente muscoloso che è proprio della gente che fatica manualmente.

Leggendo descrizioni come queste ho pensato a Pasolini e a "Ragazzi di vita" che lessi un paio d'anni fa. Là gli stessi ragazzi venivano descritti con simpatia e un velo di desiderio, qui Moravia li presenta come fisicamente menomati dalla propria condizione sociale, quasi che il ceto si trasmettesse per via genetica.

Infine c'è una terza iniziazione brutale per Agostino: la presa di consapevolezza del male. Fino a quel momento Agostino era stato chiuso nella sua bolla di cristallo, protetto dalle brutture, dalla scorrettezza, da chi avrebbe anche voluto fargli del male. Invece scappando dal grembo materno trova una compagnia di ragazzi che rubano, che mentono sfacciatamente, che si picchiano e sono pronti a umiliarlo senza un vero perché, se non per divertirsi. Scopre la deformità fisica, il mondo della prostituzione, la trasgressione del fumo e dell'alcool e subisce le attenzioni di un pederasta. Agostino è sconvolto da tutte queste brutture, soprattutto dall'ultimo evento, che lo imbarazza e gli attira le beffe dei compagni; tuttavia ne è attratto, come se se ne volesse immergere completamente, perché sente che questo passaggio lo renderà uomo.

La conclusione ha un che di doloroso per il ragazzo: dovrà prendere atto della fine della propria spensierata fanciullezza e dell'inizio di un'età più dolorosa e cupa: l'adolescenza. Moravia presenta magistralmente questo periodo della vita come una fase di passaggio, di trasformazione, in cui si smette di essere bambini, si scopre il brutto del mondo e il disagio di essere se stessi, ma ancora non si è adulti e non si può vivere come si vuole, liberi di esplorare e costruirsi un'identità. Da qui, dalla consapevolezza degli anni che dovranno passare prima di essere riconosciuti come adulti, nasce il tormento adolescenziale. C'è un unico lato positivo: se, come Agostino, si ha il coraggio di alzare la voce e chiedere al mondo di riconoscerci come nuovi, diversi, il mondo potrebbe ascoltarci e iniziare a trattarci da uomini e non da bambini.

Questo romanzo fu pubblicato da Moravia nel 1945, anche se fu scritto qualche anno prima, durante il fascismo, quando lo scrittore subì una censura totale da parte del regime. E' la prima opera di quest'autore che leggo e so che non ebbe lo stesso incredibile successo di romanzi quali "Gli indifferenti" o "La romana", ma come primo contatto direi che è stato perfetto. Un libro veloce, godibile, che a tratti mi ha ricordato l'atmosfera soffocante di "Morte a Venezia" di Mann e che in poche pagine è stato capace di mettere in scena una metamorfosi coinvolgente nel suo dolore.

venerdì 16 giugno 2017

55. The Circle - Dave Eggers

Più riguardo a The CircleSiamo tutti in rete, tutti interconnessi tramite internet, i social, le app. Ma qual è il limite accettabile al potere che questi strumenti possono avere sulla nostra vita?
In poche parole il fulcro del romanzo "The Circle" di Dave Eggers, portato recentemente alla ribalta dalla versione cinematografica con Emma Watson e Tom Hanks, si può riassumere così. L'autore si immagina un mondo del futuro più prossimo (oserei dire che il romanzo, pubblicato nel 2013, già puzza un po' di vecchio guardando lo sviluppo che ha avuto la tecnologia digitale...) in cui una grande azienda, il Cerchio appunto, ha stravolto il concetto di web e di identità digitale con una serie di fortunatissime e utilissime (all'apparenza) invenzioni. Le app del Cerchio sono così diffuse che ormai la ditta ha soppiantato i vecchi mostri sacri di internet, come Google e Facebook, e incamera un fatturato disgustosamente elevato, che l'azienda spende (in apparenza) nella ricerca e per innalzare lo stile di vita dei propri dipendenti.
La protagonista, Mae Holland, è una ragazza giovanissima, da poco laureata in una università prestigiosa ma condannata ad una vita noiosa e deprimente nel tran tran della propria cittadina, dove ha un lavoro d'ufficio mal pagato e poco soddisfacente. La sua vita però sembra essere ad una svolta quando Mae, per disperazione, chiede aiuto alla sua vecchia amica e coinquilina Annie, ora un pezzo grosso all'interno del Cerchio, al fine di ottenere un lavoro per il colosso del web. Quando Mae ottiene il lavoro non può credere alla propria fortuna e si dedica anima e corpo a questa nuova avventura, ansiosa di dimostrarsi degna di questo onore. Ma poco alla volta dovrà anche prendere coscienza di quanto il Cerchio chieda sempre più spazio anche alla sua vita privata...

La trama del romanzo non è esattamente innovativa, visto che nel '900 gli autori distopici hanno già scritto a profusione del tema dell'invasione della tecnologia e della sottrazione della privacy a favore di una trasparenza apparentemente positiva a livello sociale, ma che spesso nasconde la lunga mano di una dittatura o di un potere forte che vuole il controllo assoluto sulla società. Non è innovativa, dicevo, ma ciò non vuol dire che non sia fortemente attuale e interessante. Ero molto curiosa di leggere questo libro, che occhieggiavo da un po' sugli scaffali della libreria da cui mi servo di solito, e trovarlo in lingua originale in un piccolo negozio sul lago mi è sembrato un segno del destino, per cui l'ho acquistato e letto immediatamente. Ahimé, mi tocca dire che il libro, a mio avviso, si è rivelato un po' "meh". "Meh" è un'espressione presa proprio dal romanzo e piuttosto diffusa nella lingua inglese e sul web per indicare un commento né positivo né negativo, ma abbastanza indifferente. Una cosa del tipo "non mi dice nulla" o "non mi entusiasma". La protagonista della storia esprime più volte la propria opinione tramite le tre opzioni "Smile" (sorriso), "Frown" (broncio) o "meh". Insomma, come le emoticon. E questo libro per me è proprio meh. Non è brutto, non è uno di quei libri da sconsigliare assolutamente, perché qualche spunto interessante c'è e avrebbe delle potenzialità, ma non entusiasma, non va da nessuna parte, non arriva a una conclusione vera e propria. Meh...

Punto forte del romanzo è sicuramente la descrizione ansiogena di un futuro completamente collegato in rete. Per chi negli ultimi anni ha avuto a che fare con la burocrazia telematica, cioè quasi tutti noi, il punto di partenza del romanzo non può che essere familiare e seducente: l'avventura del Cerchio nasce dalla creazione di un giovane programmatore, Ty, che riesce a unificare account e password di ogni sito, social o istituzionale, in un unico profilo certificato. Interessante come l'autore suppone che questo possa arginare il proliferare di troll e bulli da tastiera; io non sono del tutto convinta che servirebbe a qualcosa negare l'anonimato visti certi commenti su Facebook corredati da nome e cognome...
Da quell'invenzione si sviluppa il Cerchio: via via nuove funzionalità vengono aggiunte, sempre più persone si iscrivono al servizio e tutti i dati e le informazioni di tutti gli utenti vengono salvate e classificate all'interno del cloud, parola che abbiamo imparato a conoscere molto bene negli ultimi anni, pronti ad essere ripescati in qualsiasi momento. 
La tematica è attualissima, è inutile far finta di niente. Tutti noi ormai siamo schedati sul cloud, chi più chi meno. Basta avere un cellulare connesso a Facebook e con il GPS acceso... Negli ultimi anni abbiamo visto la diffusione sempre maggiore di pubblicità su misura, basate sui nostri acquisti web, e i cookies che siamo obbligati ad accettare per poter navigare servono proprio a questo: salvare la nostra traccia sulla rete, i nostri interessi, le nostre scelte, e riutilizzarli per anticipare i nostri futuri bisogni. Naturalmente anche vendendo tali informazioni a ditte specializzate... Letto su pagina fa più impressione, anche perché Eggers porta questa realtà all'estremo, ma lo viviamo ogni giorno e, felicemente o meno, ci sguazziamo dentro. Possiamo sottrarci a questa rete globale? Eggers dice di no e io un po' gli credo. Così come i tentativi nel romanzo di nascondersi dal Cerchio hanno un esito assai infelice, non posso non pensare che ormai internet permei la nostra vita così profondamente da rendere la connessione obbligatoria per tutti prima o poi.
Strettamente legato a questo discorso è quello sulla privacy a cui accennavo prima. Ormai di privacy ce ne è rimasta ben poca, per lo più illusoria. Il cloud già sa dove siamo in ogni momento, se il cellulare sta nella nostra tasca o in borsa; sa chi sono i nostri amici, i nostri parenti, le persone che frequentiamo per studio o lavoro, persino chi sono i nostri vicini di casa. Nel cloud ci sono le nostre foto, i nostri contatti, i nostri video e i file, oltre alle email e ai blog come questo. Ho googlato il mio nome e tra le immagini sono uscite le foto di molti miei amici e contatti, ma soprattutto le copertine di libri che ho letto e recensito qui o su Anobii. Per dire...
Chi sa parlare la lingua della rete, vale a dire i programmatori (o gli hacker, che poi fanno la stessa cosa...), ha un potenziale immenso a portata di tastiera. Il Cerchio va oltre, dissemina il mondo di telecamere, in barba a qualsiasi legge sulla tutela della privacy (appunto) e dei minori. In nome della trasparenza si chiede ai politici prima e alla gente qualsiasi poi di rinunciare a nascondere qualsiasi dettaglio della propria vita, arrivando a indossare su di sé tale telecamera, affinché chiunque possa controllarne l'operato in qualsiasi momento. 
Sarebbe questa un'idea tanto rivoluzionaria? Quanti inneggiano alle telecamere nelle scuole, in ogni classe, per poter controllare i professori? (E non ditemi che vogliono vedere i propri figli, perché l'unica cosa che conta è trovare un appiglio per poter denunciare la maestra di turno; dell'utilizzo inverso, cioè per determinare sanzioni ai danni degli studenti, non se n'è mai discusso.) E le riunioni, siano esse comunali o parlamentari, non sono oggi quasi sempre trasmesse in streaming? La nostra vita non è gia in chiaro per la maggior parte del tempo? Eggers ancora una volta non fa altro che accentuare un po' i toni, portare la situazione un po' più al limite, e la sensazione si fa subito angosciante.

La cosa più destabilizzante di questo tema è forse proprio la nostra ambivalenza di utenti: l'idea di perdere la nostra privacy, di essere schedati e scrutati ci mette in ansia, ma d'altra parte ci piace avere un computer che sa tutto di noi, che ci suggerisce le pagine da visitare, si ricorda le password per noi e salva in automatico tutti i nostri dati, visto che fare il backup è un'incombenza mostruosamente gravosa. Ci piace che GoogleMaps sappia esattamente dove siamo e ci faccia vedere passo passo dove andare, ci piace spulciare i profili dei nostri conoscenti per fare del pettegolezzo spiccio e pubblicare commenti ambigui perché le persone ci chiedano spiegazioni, ci piace ricevere like e condivisioni che nutrono il nostro ego; tuttavia quando Facebook ci suggerisce come amico quello che abita al quarto piano a cui non rivolgiamo nemmeno la parola un po' ci infastidisce, così come quando una pubblicità ci ricorda di aver acquistato una panciera contenitiva o un set di frustini. Insomma, non è il web ad essere di per sé buono o cattivo: il web è una macchina e come tale è indifferente alla nostra vita. Siamo noi utenti stessi ad avere un rapporto di amore-odio con queste nuove tecnologie e a cercarle anche mentre le rifuggiamo. 
Questo romanzo ci fa riflettere anche su questo, su quanto noi siamo disposti a sacrificare della nostra vita privata, a quanto la comunità del web toglie spazio ai nostri hobby e alle persone attorno a noi in carne ed ossa. Che si riesca però a raggiungere una conclusione è ancora una volta un risultato impossibile.

Infatti sconclusionato è anche il romanzo. Nel vero senso della parola: una conclusione vera e propria non c'è. Sì, si intuisce in che direzione continuerà ad andare, ma è nebuloso su ciò che davvero voglia arrivare ad ottenere il Cerchio, all'atto pratico. O perlomeno banale.
A questo si aggiunge una carrellata di personaggi bislacchi e incoerenti, spesso macchiette quasi caricaturali. Mae, la protagonista, all'inizio del libro sembra una ragazza piuttosto sconnessa, cioè molto dedita alla propria vita privata e poco ai social. Per questo motivo rischia quasi di perdere il lavoro. Invece dopo 5 pagine diventa la reginetta del web, con una competitività esasperata nel voler acquistare visibilità. Proclama la trasparenza, l'importanza del non avere segreti, e un minuto dopo silenzia la propria telecamera per parlare di nascosto con la sua amichetta. Mae agisce in modo totalmente incoerente e incomprensibile per tre quarti del libro e ci delude ogni volta. Una protagonista con cui non mi sono riuscita ad immedesimare nemmeno per 10 minuti. Non che gli altri siano meglio. Kalden, il suo misterioso amante, Annie, l'affascinante manager dalla parlantina sboccata, Bailey e Stenton, i due veri leader del Cerchio, Mercer, l'ex che piace tanto ai suoi genitori, o Francis, il suo improbabile fidanzato con problemi di eiaculazione precoce: tutti i personaggi principali non stanno in piedi, non hanno una psicologia chiara e definita, e si fatica a capire quali siano le loro aspirazioni, a cosa ambiscano davvero, cosa li spinga ad agire come fanno. 
Un esempio lampante è proprio il rapporto tra Mae e Kalden: lui l'avvicina senza una ragione precisa, lei è una ragazza qualsiasi tra migliaia, eppure lui la sceglie, in qualche modo, per essere la sua alleata. Le mostra cose segretissime e le racconta dettagli oscuri senza nemmeno assicurarsi della sua opinione in merito, senza prima creare un legame di fiducia con lei. Lui è palesemente una sorta di intelligence, di spia o di pezzo grosso in incognito...che senso avrebbe mettere a rischio tutto questo fidandosi di una ragazzetta banderuola a cui si è rivolta la parola 3 volte? Nessuno, appunto...
Mi permetto anche di commentare sulla poca capacità dell'autore di immedesimarsi in una ragazza di vent'anni, quale è Mae: questo romanzo è scritto da un uomo e si vede, perché le donne non impostano in quel modo le proprie relazioni, soprattutto sessuali...

Forse ciò che mi ha lasciato più "meh" di questo romanzo è non riuscire a capire da che parte si schieri l'autore, quale sia la sua finalità. Cosa mi vuole dire Dave Eggers? Non lo so, o meglio, credo di aver capito che volesse criticare l'iper-connessione della nostra generazione ma senza dare delle reali alternative o mostrare una controtendenza positiva. Rimango così, a chiedermi se almeno lui avesse le idee chiare in merito...

Un ultimo appunto: sconsiglio questo romanzo a chi è di stomaco un po' debole e agli animalisti. Non accade nulla per tutto il libro di degno di nota, ma verso la fine il nostro Eggers inserisce una lunga scena piuttosto descrittiva che vuol essere una metafora del Cerchio e che vede come protagonisti alcuni animali marini. Ecco, questa scena sì, che è disturbante. Mi ha lasciato un senso di angoscia, oserei dire di nausea, maggiore che non tutto il resto della faccenda. Anche in questo momento, ripensandoci, mi fa sentire male e lo stile narrativo scelto dall'autore, così dettagliato e quasi gongolante, mi ha disgustato. Quindi amici che si deprimono a vedere un cane sotto la pioggia, evitate di farvi del male.

In conclusione, romanzo con alcune potenzialità non del tutto sfruttate e uno stile narrativo che lascia un po' a desiderare. Metà delle pagine si potrebbero tranquillamente tagliare, dettagli su dettagli inutili si accumulano senza sfociare in un quadro d'insieme coerente. Si legge in fretta, c'è molta suspense, ma lascia molto di non risolto, in sospeso. Un libro di cui si intuisce il finale ben prima della fine e che proprio per questo verrebbe voglia di metterlo giù e abbandonarlo. Non brutto brutto, non illeggibile, ma non bello. Meh.

lunedì 12 giugno 2017

54. Cristo si è fermato a Eboli - Carlo Levi

Più riguardo a Cristo si è fermato a EboliEra tanto, tantissimo tempo che desideravo leggere questo libro, eppure qualcosa mi spaventava, mi tratteneva. Forse era il titolo, così drammatico, o forse la fama di libro duro, un po' pesante. Doveva arrivare, come al solito, il gruppo di lettura a darmi la giusta motivazione. E ancora una volta non posso che felicitarmi: libro eccezionale, che mi è piaciuto tantissimo.

Carlo Levi in questo romanzo/saggio/autobiografia racconta i due anni passati al confino in Lucania, nella città di Aliano. Inimicatosi il regime fascista, impresa quanto mai facile per un medico e artista di inclinazioni politiche ben differenti, Levi fu spedito nel 1935 in Basilicata, vicino a Matera, prima in un paese di medie dimensioni, Grassano, per poi venir trasferito in un comune piccolo e poverissimo, Aliano appunto, dove trascorse poco più di un anno. Ho messo più termini per definire questo libro perché è difficile rinchiuderlo in una categoria precisa. Molto, quasi tutto ciò che racconta l'autore è successo davvero, i luoghi, le usanze e le condizioni sociali e storiche sono fedeli, ma per proteggere un po' la privacy dei protagonisti Levi decise di mutare qualche dettaglio e, soprattutto, il nome del paese, che da Aliano diventa Gagliano. Immagino che nel 1945, quando questo libro fu pubblicato, all'alba della Liberazione, i lettori fossero meno astuti nel risalire alla geografia reale...

Ci sono mille cose che mi hanno colpito di questo libro: dallo stile dell'autore, denso e descrittivo con una precisione che rivela l'occhio d'artista ma al contempo semplice, fluido, chiarissimo, alla cruda realtà della valle dell'Agro a pochi anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Una vita di miseria, durissima, segnata dagli stenti, dalla fatica e dalla malattia in quello che sembra a tutti gli effetti un angolo di mondo dimenticato da dio.
A lungo mi ero interrogata sul significato del titolo e Carlo Levi lo spiega subito, nelle prime pagine: "Cristo si è fermato a Eboli" è un modo di dire del posto: "Noi non siamo cristiani, Cristo si è fermato a Eboli". I contadini del luogo non intendono però dire che non credono in dio; il termine cristiano qui sta per essere umano, uomo. Questo è il dolore e la rabbia che i contadini di Gagliano si portano dentro: il fatto di non essere nemmeno considerati e  trattati come esseri umani, ma come bestie, bestie da soma.
Levi ce li descrive, questi contadini, perché è a loro che davvero è interessato, alle loro strane tradizioni popolari, che lo divertono, al loro modo passivo di vivere la vita, completamente abbandonati al destino, incapaci di uscire dalle grinfie della terra natia anche quando riescono a scappare per qualche tempo, andando in America a cercar fortuna. Sono strani, gli abitanti di Agliano, diversi dai contadini del nord Italia. Levi spende una parola per tutti: i sostenitori del fascismo e i signorotti locali che pensano solo ad arricchirsi, la Chiesa corrotta e che abusa della popolazione come fa lo Stato, i pochi artigiani che non riescono a lavorare, i bambini che vivono per le strade, giocando tra i rifiuti, e che anche dopo essere andati a scuola sono ancora analfabeti. E poi le donne, esseri ferini, misteriosi, apparentemente recluse nelle loro tradizioni e negli abiti e veli neri, ma passionali, istintive, prive di una moralità cristiana o borghese. Un'Italia verace nel vero senso della parola, perché è la più antica, precedente forse persino all'avvento dei Romani.

Sarebbe impossibile citare davvero tutto ciò che questo libro mi ha trasmesso. Mi dovrò limitare quindi a un paio di dettagli. La cosa che più mi ha sconvolto, probabilmente, è la descrizione della povertà assoluta, della miseria più nera. La descrizione di Matera, fatta dalla sorella di Levi andata in visita al fratello e capitata, suo malgrado, nel capoluogo, è ben lontana dalla poeticità e dall'unicità dei Sassi di cui tanto abbiamo sentito parlare negli ultimi anni. Case che sono spelonche buie, sudicie e maleodoranti, in cui uomini e animali convivono spesso in un'unica stanza; moltissimi bambini, che girovagano nudi o in abiti ormai stracciati dall'uso, gialli per la malaria, denutriti, con il ventre gonfio e gli occhi semi-ciechi per il tracoma su cui si posano le mosche; donne distrutte, devastate dalle gravidanze, dalla malaria e dal lavoro che spezza la schiena. Quando ho finito di leggere quella descrizione mi è parso di aver preso un pugno nello stomaco. "Il Terzo Mondo" ho pensato, "l'Africa subsahariana, anzi il Quarto Mondo, le scene apocalittiche che vediamo in fotografia dal Burundi, dallo Zimbabwe e dalla Sierra Leone." Solo che lì ci sono state guerre, guerre civili a non finire, pulizie etniche e lo sfruttamento coloniale che ha ridotto all'osso Paesi che spesso, già in partenza, erano poveri di materie prime. Ma qui? Com'è possibile tanta povertà?
Eppure io so che era così, e lo so perché la Basilicata non era l'unica regione italiana a versare in condizioni così gravi negli anni '20 e '30. Io ho origini in parte friulane e i racconti che mi sono stati fatti dell'infanzia di mia nonna hanno un che dei film dell'orrore. E sono mille le somiglianze che ho ritrovato leggendo di questo popolo sofferente ma sconfitto, piegato dalla sua stessa povertà.
Questa descrizione mi fa pensare che è incredibile come, in brevissimo tempo, l'Italia sia cresciuta, si sia evoluta. Questa regione apparentemente senza speranza ha fatto, nel giro di 30 anni dalla fine della guerra, passi da gigante, anche grazie ai grandi investimenti fatti per migliorare le condizioni di vita della popolazione. E' quasi commovente pensare che Matera è stata scelta come città della cultura per il 2019. Chi avrebbe potuto scommettere una lira su un cambiamento simile? Chi avrebbe pensato che questa gente disperata un giorno avrebbe potuto lasciare tutto quel dolore dietro di sé?
E' un messaggio bello, positivo, che ci ricorda che, se si crede nello sviluppo e nel futuro dei popoli, c'è una speranza concreta di migliorare.

Un altro tema che occupa molte pagine del libro sono, come ho accennato prima, le donne, con le loro debolezze e le loro arti di seduzione. E tra le donne quelle che spiccano in particolare sono le streghe. Così le chiama Levi perché così vengono chiamate dalla gente del posto. Le streghe sono donne che conoscono le formule magiche per far guarire o morire qualcuno, che sanno creare filtri per far innamorare un uomo e legarlo a sé per la vita. Ma soprattutto le streghe sono donne forti, indipendenti e volitive, che segnate da un fato ostile (come l'abbandono del marito, o la vedovanza...) si sono guadagnate da vivere al meglio e magari, nel mentre, hanno fatto una dozzina di figli illegittimi. Le somiglianze con la mia famiglia aumentano ...
A sentire uno dei personaggi più caricaturali, il dottor Milillo, tutte le donne del paese sono streghe: infatti mette in guardia Carlo Levi dall'accettare alcunché dalla popolazione femminile, perché sicuramente gli avrebbero fatto bere un filtro d'amore contenente sangue mestruale (dettagli che rendono il tutto più stregonesco); tuttavia nella storia la strega in primo piano è una: Giulia.
Giulia è la donna che donna Caterina, la sorella del podestà, mette in casa di Levi come donna di servizio. Naturalmente è una strega: soltanto una strega, quindi una donna senza alcuna reputazione da difendere, potrebbe accettare un lavoro del genere, perché a Gagliano una femmina, qualsiasi sia la sua età, non può mai trovarsi da sola in casa con un uomo che non sia della sua famiglia, pena la perdita della virtù. Spesso vera, perché pare che questi contadini e le loro signore avessero un appetito sessuale effervescente, forse anche perché privo della censura della morale cristiana, e ad una donna bastassero cinque minuti da sola in una stanza con un maschio per ritrovarsi incinta.
Ad ogni modo Giulia si occupa di Levi per quanto riguarda le sue necessità quotidiane e finisce per prenderlo in simpatia, tanto che gli insegna anche i trucchi del mestiere...da strega, si intende. Che si sa, essere medico e stregone è meglio che uomo di scienza e basta.
Levi la descrive così:

Era una donna antichissima, come se avesse avuto centinaia d'anni, e nulla perciò le potesse esser celato; la sua sapienza non era quella bonaria e proverbiante delle vecchie, legata a una tradizione impersonale, né quella pettegola di una faccendiera; ma una specie di fredda consapevolezza passiva, dove la vita si specchiava senza pietà e senza giudizio morale: né compatimento né biasimo apparivano mai nel suo ambiguo sorriso. Era, come le bestie, uno spirito della terra; non aveva paura del tempo, né della fatica, né degli uomini.

Si fidava talmente tanto che accettò di posare anche per alcuni ritratti di Levi, che come prima occupazione, va ricordato, faceva il pittore. Uno, colmo di dolcezza, e quello sottostante, che la raffigura col suo figlio più piccolo.



Giulia non è certo la sola che il pittore ha voluto ritrarre nei suoi mesi passati al confino. Anzi, approfittando anche dell'apprezzamento artistico dei contadini, che insperatamente capivano d'arte più dei borghesi acculturati (quindi più di noi, che ce ne stiamo davanti ad un computer a parlare di libri...), Levi creò diversi ritratti delle genti del luogo, in particolare dei bambini. Questi, ad esempio, sono "Antonio, Peppino e il cane Barone":



Il cane Barone, protagonista fondamentale delle vicende dell'autore e suo unico compagno fedele, è uno dei dettagli più lievi e spensierati della storia, che in fin dei conti non è così cupa quanto potrebbe apparire da ciò che si è detto finora. Al di là delle descrizioni desolanti, oltre il tema dell'emigrazione altissima, del brigantaggio e dell'arruolamento in guerra come unica speranza di fuga, quello che rimane appiccicato addosso è un affetto, una tenerezza che riempie il cuore dello scrittore e che, volente o nolente, traspare dalla narrazione. Levi a questa gente si affeziona, si prende a cuore la loro situazione, perché sono fondamentalmente buoni, accoglienti nei suoi confronti e devoti al suo essere signore e medico vero, non medicaciucci.

Credo sia un libro imprescindibile. Come ho già detto altrove, questo è un altro di quei testi che tutti dovrebbero leggere, in Italia, perché non bisogna dimenticare, dobbiamo sempre sapere da dove veniamo e quanta strada abbiamo fatto per arrivare fin qui. Un pezzetto di memoria storica preziosissimo, una lettura meravigliosa.

mercoledì 7 giugno 2017

Reading Challenge 2017

Una mia collega oggi mi ha fatto un dono meraviglioso: mi ha reso partecipe della Reading Challenge inventata da lei e sua sorella per quest'anno.
Io ho sempre avuto un amore incontrollabile per le tabelle, mi stimolano la produttività, quindi mi ci sono buttata a pesce, le ho stressato l'anima e alla fine, poverina, me l'ha dovuta condividere...
Ecco qui quindi la tabellina da me con amore copiata e riadattata nella forma ma non nel contenuto. Ho già inserito alcuni titolo letti quest'anno dal mese di gennaio. Spero di riuscire a riempirla quasi tutta nei prossimi mesi.
Oh, e se qualcuno conosce un libro la cui protagonista si chiama Manuela ditemelo, che non ne conosco nessuno!
Ah, ovviamente ognuno si senta libero di copiare questa tabella e farla a sua volta. Buone letture!

Un libro che ti è stato regalato/prestato
Un libro consigliato da un/a collega
Un libro il cui titolo è una sola parola (più eventualmente articolo)
Un libro fantasy/con elementi di magia
Un libro di un autore che questanno compierebbe almeno 200 anni
Un libro di cui hai visto il film ma che non hai ancora letto
Un fumetto pubblicato prima della tua nascita
Un libro che puoi leggere in un weekend
Un libro la cui protagonista ha il tuo stesso nome
Un libro di un autore che ha vinto il premio Nobel
Un libro che non è stato pubblicato nel tuo Paese di residenza
Un libro uscito nellanno in cui sei nata
Un libro che ha avuto un adattamento televisivo/cinematografico
Un classico che ancora ti manca
Un testo teatrale
Una serie di manga che non hai ancora letto
Un libro riguardante miti/leggende
Un giallo/thriller
Un libro per bambini/ragazzi
Un libro che ha la fama di essere impossibile da mettere giù
Il libro preferito di un amico
Un libro che eri impaziente di comprare/prendere in prestito ma che poi non hai letto
Un libro legato a qualche fatto di attualità
Un libro che hai letto molto tempo fa e non avevi apprezzato
Un libro con un titolo o una copertina brutto/a
Un libro di un autore emergente
Un libro che hai sempre evitato
Un libro con un protagonista in cui pensi di rispecchiarti o che sia diametralmente opposto a te

Un libro con unambientazione inusuale
Un libro non fiction