Ci sono storie con cui non si può fare a meno di empatizzare, di immedesimarsi. Ci sono invece storie con cui farlo è impossibile. Non sempre è colpa dell'autore: molto anzi dipende dal lettore. Credo che la difficoltà sia massima quando tra il lettore e il protagonista/i protagonisti c'è troppa differenza caratteriale, o quando i principi su cui basano la propria vita sono troppo lontani da quelli di chi legge. E' così che valuto l'esperienza negativa legata al libro "Volo di notte" di Antoine de Saint-Exupéry.
Antoine de Saint-Exupéry è famosissimo, ma per altri scritti. Chi non ha mai sentito parlare de "Il piccolo principe"? Questa storiella brevissima, negli anni, è diventata un libro di culto, studiato in psicologia e sociologia, preso ad esempio come massima definizione dell'amicizia e dell'amore. Me lo sono ritrovato anche al corso di abilitazione all'insegnamento, nelle ore di Psicologia.
So che ci sono persone che ne collezionano le edizioni anche in lingue diverse e ne ho vista una copia in dialetto piemontese. Insomma, per non conoscerlo una persona deve proprio essere vissuta sotto un sasso.
Essendo io una donna cinica e crudele, "Il piccolo principe" non mi ha mai affascinato. Ho provato a rileggerlo l'anno scorso, in occasione di un saggio di danza a tema, ma niente da fare, io tutta questa meraviglia proprio non ce la vedo. Anzi, trovo che il finale sia un filo sconvolgente, dopo tutta quell'imbastitura da fiaba per bambini. Ripeto, sicuramente è un limite mio, perché probabilmente non ho la disposizione d'animo o la profondità necessaria per apprezzarlo.
Lo scrittore però ha pubblicato anche un sacco di altri romanzi e racconti, tutti per adulti e quasi tutti relativi alla sua vera, grande passione: il volo. Antoine de Saint-Exupéry era un aviatore; anzi, fu proprio volando che trovò la morte, abbattuto dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale.
"Volo di notte" è una storia corale, poiché racchiude le voci e i pensieri di tanti, diversi personaggi, in qualche modo legati a un lavoro oggigiorno sorpassato ma negli anni '30 quanto mai moderno - e pericoloso: il corriere postale.
Un lavoro fondamentale, soprattutto in zone impervie, in cui per ragioni legate alla conformazione del territorio i trasporti su strada erano ancora lenti e difficoltosi, e allora bisognava affidarsi al cielo, alla posta aerea. Così alcuni coraggiosi uomini con la passione del volo sceglievano di fare da postini dei cieli e ogni giorno, o meglio ogni notte, trasportavano il loro carico di lettere attraverso catene montuose e foreste, fiumi e zone desertiche. Una delle zone in cui questo servizio era particolarmente importante era il Sud America e anche l'autore lavorò per una compagnia simile per molti anni, sotto la ferrea supervisione di Monsieur Didier Daurat, che ha ispirato uno dei personaggi principali del romanzo, l'inflessibile e a tratti disumano Rivière.
Proprio un aviatore e Rivière sono i protagonisti principali del romanzo, o forse è meglio chiamarlo lungo racconto, perché il numero di pagine è proprio esiguo.
L'aviatore è un uomo giovane e sicuro di sé, immune alla paura, perché il suo compito è proprio andare oltre il limite che l'uomo si pone a causa del timore di morire. Ciò che mi ha un po' impedito di entrare in contatto con questo personaggio è proprio questo sprezzo del pericolo, giustificato non da una scelta morale, da un bene superiore, ma da un'inclinazione personale, una passione fine a se stessa. Gli aviatori del servizio postale non pensano mai che il proprio carico di lettere e pacchi possa essere importante, vitale per qualcuno, che molte persone dipendano da loro, perché non è questo che li fa volare; invece è l'emozione del vedere il mondo dall'alto, è la soddisfazione di arrivare in orario e non avere un richiamo, è dimostrare al mondo e a se stessi di essere capaci, in ogni situazione, di arrivare alla meta. Io sono un'amante della sopravvivenza, fatico già a mettermi nei panni dell'eroe che si sacrifica, immaginarsi se riesco a immedesimarmi in chi lo fa per nessun motivo se non per soddisfazione personale o divertimento. Aviatori, piloti di velocità, alpinisti, cultori di sport estremi: per me una categoria incomprensibile. Trovo addirittura fastidiosa questa mancanza di coscienza sul pericolo a cui si espongono, lo sprezzo della morte. Non riesco mai a rattristarmi quando il fattaccio succede, quando qualcuno in queste condizioni non riesce a salvarsi. A differenza di una donna che cammina per strada di notte, questo sì che se l'è cercata... Insomma, sarò ancora una volta insensibile e cinica, ma proprio non provo nulla e non ho provato nulla leggendo dell'aviatore del Sud America di Saint-Exupéry.
Ho invece sentito molta vicinanza per il suo marconista, a cui la propria pelle piace e vorrebbe salvarla, e per la moglie dell'aviatore, con cui si è sposato da appena 6 settimane ma a cui non potrà mai essere davvero legata: lui ha il cielo nel cuore e lei è sulla terra. Mi ha fatto arrabbiare quest'egoismo del volersi fare una famiglia, avere una casa pulita, un pasto e un letto caldo a cui tornare, quando l'aviatore sa che non potrà mai dare grandi attenzioni a quella donna e che rischia ogni giorno di lasciarla vedova. Se da una parte non concepisco l'amore per gli sport estremi, dall'altra penso che chi ha per sua natura questa inclinazione dovrebbe fare il sacrificio di rimanere da solo, perché non si può trascinare un altro essere umano in questo tormento continuo.
Rivière invece è il prototipo del capo freddo ed efficiente, il burocrate che non sente ragioni, anzi, che usa il pugno di ferro nell'illusione che questo faccia funzionare tutto al meglio. Punire anche chi non lo merita, sanzionare anche quando il lavoratore non poteva fare altrimenti: questa è la sua filosofia. Un personaggio antipatico, sicuramente, insensibile e quindi impenetrabile. Tuttavia ho apprezzato un briciolo della sua filosofia di vita: in un passaggio spiega perché, secondo lui, il capo non dovrebbe mai essere amico dei dipendenti. Secondo Rivière non bisogna dare confidenza, scherzare, fare i simpatici con i sottoposti perché crea un falso clima di uguaglianza, una finta atmosfera positiva, che spinge solo i lavoratori a non seguire le regole per filo e per segno, ma soprattutto serve solo al capo per attutire il senso di colpa nel portare a termine il suo lavoro: il suo compito è prendere decisioni, anche se scomode e crudeli, e assumersene le responsabilità. Tra le conseguenze c'è anche il risentimento dei sottoposti e il capo deve accettarlo, che gli piaccia o no. Insomma, forse meglio questo di tanti capi attuali, che con la politica dell'amicone poi te lo mettono in quel posto lo stesso...
Il tema del pericolo e della morte incombente nella vita dell'aviatore è ripreso anche, nell'edizione che ho acquistato, dal racconto messo in coda (sempre per far pagine, credo...), "L'aviatore" appunto. Una storia che mi ha fatto saltare all'occhio ancora di più ciò che non mi era andato giù nella prima parte e mi ha lasciata con un senso di inutilità della vita umana e l'amaro in bocca.
Insomma, questo genere di libri non fa per me e temo, a questo punto, che il caro Antoine de Saint-Exupéry ed io non abbiamo nulla da dirci. Non sempre può funzionare, il bello dell'umanità è che siamo così diversi. Diciamo semplicemente che questo libro non lo consiglierei a chi non ha la passione del rischio. Se invece siete degli aspiranti superuomini e amate superare i limiti, allora è il libro perfetto: breve, con uno stile semplice ed evocativo e pieno di dettagli sul volo che possono piacere a chi ne capisce qualcosa.
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