Sono andata fino in Nuova Zelanda a pescare un libro sui vuoti, sulle assenze, sulle perdite incolmabili che ci cambiano un po' la vita.
"Sala partenze" è questo: un noir che in verità ha un po' del romanzo psicologico, un mistero insoluto che è soltanto una scusa per investigare la mente oscura del protagonista.
Chad Taylor è considerato uno dei migliori scrittori neozelandesi contemporanei. I suoi libri, che lui stesso ha deciso di definire noir nonostante sfuggano alle classificazioni, hanno vinto svariati premi; tuttavia ad una lettura "europea" pare chiaro che lo spessore letterario di cui parliamo lascia un pochino a desiderare nel panorama di una letteratura mondiale. Ciononostante ha punti a suo favore che ne rendono la lettura affascinante.
La prima cosa che mi ha colpito di questo libro è, come forse è ovvio, il protagonista. Credo che la scelta di una voce narrante inaspettata sia una caratteristica propria della scrittura di Taylor: nella fattispecie l'autore si serve di un uomo misterioso, dalle abitudini inusuali e dall'animo contemplativo persino, ma che nella vita fa il criminale. La storia si dipana saltellando tra presente e passato, tra i ricordi e il lento scorrere del quotidiano che di quotidiano, per il lettore medio, ha ben poco; il tutto letto attraverso gli occhi di Mark, che nel suo essere uno scassinatore abile e incallito risulta comunque una persona fredda, analitica e si percepisce come un narratore affidabile.
Il personaggio di Mark è così pacato, distaccato da tutto, anche dai soldi veri e proprio, così solo che viene spontaneo cercare di capire di più di ciò che l'ha portato a diventare così, cosa lo spinge a delinquere. Taylor non è un autore che offre grandi spiegazioni: è così, punto e basta, ci sono molti motivi probabilmente per cui è diventato così ma lo è stato fin da giovanissimo e continuerà ad esserlo.
Mark è l'incarnazione del tema portante del romanzo: l'incapacità di gestire la perdita, l'assenza, la negazione del distacco che si manifesta nell'appropriarsi con la forza di ciò che è altro e allo stesso tempo nel tenere tutto e tutti a distanza. Morboso nella mania di controllo, stalker senza chiari scopi, Mark non può suscitare vera simpatia perché ciò che fa è troppo inquietante, il modo in cui vive troppo trasandato e offensivo, e ciononostante non lo si riesce a condannare, perché l'amarezza in fondo alla sua anima è talmente manifesta da non poter essere ignorata.
Il secondo dettaglio che mi ha fatto pensare è l'ambientazione temporale. La vicenda si svolge a cavallo tra un presente identificabile coi primi anni Duemila e il 1979, anno in cui una ragazza adolescente compagna di classe di Mark, Caroline May, è svanita nel nulla. Lo scrittore associa alla scomparsa di Caroline un disastro aereo realmente avvenuto proprio nel 1979: un aereo turistico con a bordo 237 passeggeri e 20 membri d'equipaggio si schiantò nel corso di un volo di osservazione dell'Antartide contro il monte Erebus. Morirono tutti. Facendo qualche ricerchina ho scoperto che questo è considerato in Nuova Zelanda come il più grave avvenimento nella storia moderna del Paese. Infatti la Nuova Zelanda, dopo le guerre di colonizzazione combattute contro i Maori, non ha più subito alcun tipo di attacco, restando illesa anche durante la Seconda Guerra Mondiale.
Mi ha colpito molto come l'autore abbia scelto una catastrofe nazionale da associare alla propria storia, un periodo che tutta la nazione avrebbe riconosciuto come un momento di dolore, di lutto. Ciò che mi ha particolarmente fatto pensare è l'importanza che questo avvenimento ha ancora oggi sulla cultura popolare neozelandese. Noi in Italia di disastri aerei, stragi e mattanze ne abbiamo viste tante negli ultimi 50 anni, tanto che la loro memoria si affievolisce in fretta, lasciando un amaro in bocca che sa più di Stato colpevole e assente che di lutto nazionale. Nel modo in cui Taylor descrive la Nuova Zelanda ci vedo una nazione quasi bambina, inesperta, con la carne ancora tenera, troppo esposta alle intemperie della vita. Un Paese che non ha dovuto farsi le ossa e che per questo è rimasto un po' indietro, tra l'innocente e il tremebondo. Abituata a considerare la Nuova Zelanda solo per la sua ricchezza paesaggistica, questo taglio più psicologico mi ha affascinato.
Anche i dettagli che l'autore inserisce contribuiscono a creare una percezione puntuale e particolareggiata del Paese e della città di Auckland. Ci sono tantissimi riferimenti geografici, dalle spiagge alle case colorate, dalla darsena ai tunnel labirintici di North Head (consiglio qualche ricerca su Google). Probabilmente la descrizione funziona maggiormente sul pubblico neozelandese, che questi luoghi li conosce e li vive davvero, ma regala anche al lettore straniero una maggiore autenticità. Inoltre i riferimenti ai mesi e alle stagioni, all'anno che procede a specchio rispetto alla vecchia Europa, danno una nota ancor più caratteristica.
Infine grazie ad uno scambio di battute tra due personaggi ho dato libero sfogo alla scimmia su Google e ho approfondito il fenomeno dei fa'afafine, il terzo sesso riconosciuto dalla comunità maori. Consiglio qualche lettura sul tema, tanto per stare sempre sull'onda del gender...
Alla fine questo libro mi ha catturato abbastanza, mi ha attirato tra le sue braccia, e mi ha lasciato un po' più sola e un po' più consapevole di quanto la vita vera non fornisca spiegazioni né risposte soddisfacenti. "Sala partenze" è un viaggio interessante nella letteratura gialla vista attraverso gli occhi di un popolo tanto distante da noi. Non imperdibile, ma a suo modo interessante...
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