No, non autori con disturbi della psiche. Cioè, di quelli ce ne sarebbero un mare, perché si sa che l'arte non attira propriamente soltanto le persone sane di mente, ma ciò a cui sto pensando è tutt'altro.
Nell'intraprendere questo mio progettino di lettura internazionale, che mi sta dando delle notevoli soddisfazioni, ho inizialmente sottovalutato un aspetto che si sta proponendo sempre più insistentemente alla mia attenzione: molto spesso gli autori non parlano affatto del loro Paese d'origine. Questi sono dunque da considerarsi validi esponenti della letteratura del proprio Paese o sono più scrittori "del mondo"?
Non avevo mai considerato quanto alcuni autori si facciano voce della storia, della cultura e dei problemi della propria terra d'origine, mentre altri se ne disinteressano, almeno apparentemente, e preferiscono invece viaggiare con la fantasia in altre nazioni, altri tempi, mondi scomparsi o inventati. Ma poi, sarà davvero possibile per questi scrittori affrancarsi dalla propria cultura d'origine ed entrare pienamente nella storia e nella cultura di un'altra nazione o persino in una zona neutra, universale?
La risposta io, ovviamente, non ce l'ho; ciò che posso fare è al massimo pormi degli interrogativi e raccogliere qualche osservazione. Di per sé, visto che di solito è anche la conclusione più corretta, direi dipende.
Fino ad ora ho letto e bloggato parecchi autori che hanno fatto della propria cultura e storia l'origine fondamentale del loro scrivere. Gadda, Grazia Deledda, Scerbanenco sono solo alcuni esempi dell'italiano che racconta gli italiani, come Agota Kristof, Nagib Mahfuz, la Pilkington o Kawabata, per citarne solo un paio, ci narrano della loro terra. Probabilmente questo autori sono la maggioranza. Le mensole di casa mia traboccano di libri di autori che potrebbero essere inseriti in questa categoria e che aspettano di essere letti o sono antiche conoscenze. Da quando ho intrapreso questa piccola sfida con me stessa, quella di leggere un libro per ogni nazione del mondo, sto dando più spazio a questi scrittori, perché in qualche modo mi pare che i loro libri siano più significativi nel mio incontro con l'altro.
Alcuni autori però mi hanno sorpresa o perplessa. Alcuni scrivono del loro Paese d'origine ma dando un'occhiata alla loro biografia si scopre che non ci vivono e spesso non usano neppure più la lingua natale. Esempi di cui ho parlato sono Tahar Ben Jelloun, che descrive il Marocco e la sua cultura stando in Francia e scrivendo in lingua francese, o Saleem Haddad, che ci racconta il Medio Oriente dall'Occidente e in inglese. Ci ho riflettuto su molto leggendo Tahar Ben Jelloun: un uomo che ha vissuto solo la propria giovinezza in Marocco e che vive in Francia da più anni di quanti ne abbia trascorsi in patria può davvero farsi portavoce della cultura e di conseguenza della letteratura marocchina?
Non so perché, ma diffido. La lontananza cambia tante cose: permangono i ricordi, che mano a mano diventano datati e sbiadiscono, fino a prendere contorni mitici, a tratti onirici. Si ricordano solo i momenti più belli e i grandi traumi, mentre la quotidianità, gli odori e i sapori, i rumori della vita di tutti i giorni si perdono irrimediabilmente. Pur rimanendo in Italia, se dovessi scrivere del periodo degli anni Ottanta, cioè quello legato alla mia infanzia, i miei ricordi sarebbero vaghi e filtrati dalla sensazione di placida giocosità dell'infanzia. Inevitabilmente credo che finirei per descrivere un periodo ricco di ottimismo e in cui si viveva bene, nonostante i tanti problemi, in netto contrasto col più negativo periodo attuale. Al contrario, se avessi avuto un'infanzia drammatica, segnata da profondi sconvolgimenti, credo che ne scriverei come di un periodo nero in generale, la cui luce alla fine del tunnel è il presente. Insomma, temo che la barriera del tempo e della lontananza intervenga a modellare e influenzare l'idea e la percezione che noi abbiamo di un Paese e della sua società.
Situazione simile, ma al contrario, per autori che descrivono una cultura in cui hanno vissuto, magari per moltissimi anni, ma che non è la loro di origine. Ci sono esempi datati, come Conrad, autore polacco per nascita, ma che durante la propria vita ha viaggiato costantemente, arruolandosi nella Marina francese prima e inglese poi, e che ha scelto proprio l'inglese come lingua letteraria; i Paesi visti e conosciuti durante la carriera militare sono lo scenario in cui si muovono i personaggi da lui inventati. Questo è anche il caso del romanzo che sto leggendo al momento, la cui autrice, premio Nobel per la letteratura, ha scritto principalmente della Cina, nonostante i suoi genitori fossero americani: la scrittrice visse gran parte della sua vita in Cina e non vi è dubbio alcuno che fosse, in cuor suo, la sua terra. Ciononostante lei era e resta americana e i suoi romanzi, per quanto accuratissimi nel descrivere l'Oriente anche nei dettagli della vita quotidiana, della lingua e della geografia, non possono essere considerati letteratura cinese. Conrad invece viene generalmente studiato come autore britannico, per via della sua naturalizzazione e forse del fatto che scrivesse in lingua inglese. Quale differenza c'è però tra i due? Perché l'uno è britannico e l'altra non può essere rappresentativa della Cina? Certo la discriminante non è la lingua utilizzata, se no cadrebbe l'esempio prima riportato di Tahar Ben Jelloun, che scrive in francese.
Cosa o chi decide davvero a che nazione appartiene un romanzo quando questi sono i presupposti?
Pensando a questa categoria di scrittori mi sono venuti in mente anche autori che ufficialmente scrivono del proprio Paese ma, essendo nati e cresciuti in giro per il mondo e spesso lontano dalla propria terra d'origine, sono come sradicati e mi paiono sempre un po' stranieri.
Un esempio è Amélie Nothomb, belga cresciuta in Giappone, poi vissuta in Francia, in Cina, per poi tornare per una breve parentesi in Giappone. Ora vive in Europa e ha sempre scritto in francese, ma nei suoi romanzi lo sguardo della scrittrice mi pare sempre un po' quello di un'aliena: descrive il Giappone dall'interno eppure dall'esterno, con occhi che giapponesi non sono, e dall'altra parte anche i suoi personaggi belgi o francesi sono spesso atipici, oppure osservati con una freddezza analitica molto nipponica. A quale nazione appartiene davvero la Nothomb? Una donna che ha vissuto così tanti sradicamenti, che ha avuto così poco tempo e occasioni di trovare una propria dimensione geografica, può essere legata in modo esclusivo alla letteratura di un solo Paese? E, in fondo, ha senso in questo caso farlo, da parte di noi lettori così come della critica?
Un'autrice tutta nostrana che a me fa lo stesso effetto è Dacia Maraini. Insomma, la figlia di Fosco Maraini, cresciuta in Giappone, poi tornata per un breve periodo in Sicilia e poi mandata in Toscana, ora residente a Roma... Nello scrivere "La lunga vita di Marianna Ucria" quanto si sarà sentita siciliana, lei, la cui mamma era discendente di una delle famiglie più distinte dell'isola, ma che in quei luoghi ha trascorso solo alcuni periodi di fanciullezza, per lo più legati alle vacanze? In fin dei conti, a mio avviso, si può essere sradicati anche all'interno del proprio Paese, se si parla di una regione che non ci appartiene affatto.
Con questo non voglio sminuire l'importanza o la validità delle opere di questo tipo di autori, perché anzi hanno caratteristiche tutte loro, una ricchezza impossibile altrimenti, ma che secondo me li rende, in qualche modo, più internazionali, globalizzati (volendo usare una parola brutta...). Potremmo dire che questo tipo di autori sono figli del mondo più che del Paese che ha dato loro (o ai loro genitori) i natali?
Alla fine ciò che conta, mi pare, è capire quanto lo sguardo dello scrittore sia stato influenzato dalla propria origine. Mi ripeto spesso, nell'esplorare un nuovo Paese attraverso un romanzo, che la personalità, le esperienze e la volontà di chi l'ha scritto convergono nel formarmi un'impressione piuttosto che un'altra e che alla stessa situazione, argomento o area geografica bisogna dare almeno due chance. Forse ciò che mi preme capire è quanto questo genere di autori siano più influenzati di altri nella narrazione a causa del filtro culturale insito nella loro origine.
Infine vorrei citare quegli scrittori che descrivono mondi fantastici o reali ma in modo totalmente diverso da come sono veramente. E' buffo ma da una parte ci sono autori fantasy e di fantascienza che, nei loro mondi inventati, ricostruiscono molto bene la società in cui vivono, criticandola spesso aspramente, mentre altri, pur utilizzando ambientazioni note, le stravolgono a loro piacimento, sfruttandole per i propri scopi.
Un esempio di quest'ultimo modo di agire si ha con Horace Walpole, l'autore de "Il castello di Otranto". L'Italia medievale che Walpole descrive non ha nulla a che fare con quella reale, così come la leggenda e il castello in cui è ambientata la vicenda non esistono nel paese di Otranto. L'autore inglese, a metà settecento, sceglie come scenario per il primo romanzo gotico della letteratura britannica l'Italia non per averne visitato le città e studiato la storia, ma perché Italia, e in particolar modo il Sud del Paese, era sinonimo di esoticità, terre straniere lontane e molto, molto diverse dalla Gran Bretagna, dove ancora si tramandavano superstizioni astruse e il religioso si mescolava al leggendario. Insomma, l'intento realistico è nullo e in questo caso davvero la scelta geografica non ha nessuna rilevanza nel contenuto perché il romanzo non descrive affatto l'Italia vera.
Tuttavia, essendo un po' pessimista e un po' cinica, mi chiedo: chi legge saprà davvero distinguere un romanzo di questo tipo da uno il cui autore ha raffigurato lo spirito della nazione coerentemente?
Conclusione: secondo me sempre più al giorno d'oggi ci sono autori che sfuggono alle categorizzazioni e non possono essere considerati realmente patrimonio nazionale quanto, piuttosto, mondiale. E leggere un solo autore originario di un determinato Paese non basta, ahimè, a farsi un'idea anche vaga del Paese in questione. Toccherà fare il giro due volte, alla fin fine...
Nota che non c'entra niente ma volevo includerla: mentre spulciavo il web alla ricerca di autori del Ciad (non fatevi domande, please...) ho scovato la pagina di un altro lettore folle che sta facendo il proprio giro del mondo letterario. Il suo progetto è meglio organizzato e documentato del mio, il che non è difficile, e se l'idea interessa e si vuole qualche spunto per delle letture extra può essere un'ottima risorsa. Il suo sito si chiama Capitolo 23, lui è Alfonso e l'elenco delle nazioni già recensite lo trovate qui, in rigoroso ordine alfabetico. Buona lettura!
Nessun commento:
Posta un commento