Durante il mese di febbraio il gruppo di lettura aveva scelto di leggere "La buona terra" di Pearl S. Buck. Io di questo romanzo non avevo mai nemmeno sentito parlare, né conoscevo la scrittrice, per cui si può ben immaginare la mia sorpresa quando ho scoperto, sfogliando la biografia dell'autrice, che aveva vinto il premio Nobel per la letteratura. Sono contenta di avere incontrato sulla mia strada un altro Nobel; trovo che, per quanto in alcuni casi la scelta possa essere considerata non azzeccatissima, leggerne sia comunque stimolante.
"La buona terra" è un romanzo obiettivo, quasi alla stregua di un documentario, privo di occidentalismi, nel quale è narrata la storia di Wang Lung e della sua famiglia. Per quanto l'autrice narri tutto dal punto di vista di Wang Lung, il capofamiglia, la percezione non è esattamente quella di stare all'interno della mente di un uomo cinese di inizio XX secolo, quanto piuttosto di stargli sulla spalla e vedere, dall'esterno, questo mondo fatto di valori e usanze aliene. A mio parere la Buck è stata molto accorta a non inserire mai giudizi personali nella narrazione, per quanto in alcuni momenti, anche solo nella scelta degli episodi da presentare, la critica sociale non possa non trapelare...
Ho detto che il protagonista è un uomo di inizio '900, ma nel libro non ci sono riferimenti storici. A ben vedere, per gran parte della narrazione, il mondo descritto è talmente arretrato e misero da far pensare al Medioevo... Tuttavia si parla del treno, che i cinesi chiamavano il "carrozzone di fuoco", e che venne introdotto in Cina soltanto nel primo decennio del 1900, restringendo un po' la fascia temporale. Si parla anche di alcune rivoluzioni, ma non hanno mai un nome vero e proprio, né Wang Lung è in grado di offrirci una visione più chiara e competente di ciò che sta succedendo nel suo Paese. Anzi, ne è quasi del tutto ignaro, se non quando questa giunge a scuotere la sua placida esistenza. Essendo il libro pubblicato nel 1931, possiamo dire che la Buck ci vuole dare un'idea della vita dei contadini nella Cina orientale di inizio XX secolo.
La prima cosa che mi ha colpito di questo romanzo è il tema della memoria famigliare. Sarà che è una tematica a cui io personalmente tengo molto, ma tra queste pagine diventa ancora più rilevante. Nella fattispecie, "La buona terra" ci racconta cosa può accadere quando la memoria, per mille differenti motivi, si perde. Narrandoci generazione dopo generazione, la Buck mette in scena un processo molto comune e naturale, quello della rimozione dei ricordi dolorosi, soprattutto quando la vita pare volgere al meglio. Wang Lung parte come un povero contadino, orfano di madre e sprovvisto di fratelli che lo possano aiutare nel lavoro dei campi, ora che il padre è anziano. La sua storia inizia davvero quando prende moglie e da questa ha figli e figlie. Wang Lung e la sua famiglia vivono il lavoro duro, quello nei campi, che spacca la schiena e lascia tramortiti la sera. Non solo; essi subiscono gli effetti della carestia, quasi muoiono di fame, sono costretti a cercare fortuna e ad elemosinare per sopravvivere, in una disperata lotta per la sopravvivenza che lascia senza fiato. Poi nella loro vita tutto cambia: lentamente, grazie anche a qualche colpo di fortuna, la famiglia passa dallo stato di contadini poveri e ignoranti a quella di benestanti. E' qui, in questo momento, che il ricordo, la memoria delle privazioni, del dolore, dell'umiliazione della povertà si fa insopportabile. E allora la famiglia, semplicemente, rimuove. E' più facile avere a che fare coi ricchi e i potenti se ci si dimentica di essere stati al loro servizio, di essere stati ignoranti e bisognosi. La specie umana tende naturalmente ad adattarsi alla nuova condizione e a volte, per farlo, rinnega il proprio passato.
Io sento molto questo tema perché nella mia famiglia questo è successo. Io sono stata fortunata, ho sempre vissuto nell'agio, ma non così la famiglia di mio padre. Ebbene, in mio padre e nei miei zii io riscontro proprio questo stesso atteggiamento, che quindi a tratti comprendo e a tratti mi ferisce. Sarà che io invece ho un po' il pallino di farmi portatrice della memoria storica della nostra famiglia...
Perché, per quanto questa rimozione sia naturale, c'è un pericolo insito in essa: perdere la memoria del proprio passato, delle proprie origini, ci rende vulnerabili, poiché finiamo per non ricordare ciò che ci ha permesso di migliorare la nostra condizione né ciò che è successo a chi, prima di noi, ha fatto il percorso inverso, perdendo tutto. La famiglia di Wang Lung parte dal nulla e arriva ad essere grande, numerosa e ricca; ciononostante non si può ignorare il parallelo con la grande famiglia Hwang, che possedeva le terre poi diventate di Wang Lung, che viveva nella casa che sarà di Wang Lung, che aveva schiavi e schiave, tra cui la moglie di Wang Lung, e che però ha finito col perdere tutto, prima di tutto l'unità e il rispetto per i propri anziani. A mio avviso l'autrice, sul finale, vuole proprio dirci questo: i figli di Wang Lung hanno dimenticato ciò che fu e si comportano come quelli della famiglia Hwang; una brutta fine non tarderà ad arrivare...
Un altro punto molto forte del romanzo è la descrizione della povertà dell'epoca, quella vera. Noi, come società, forse abbiamo un po' rimosso cosa voglia dire davvero morire di fame nella disperazione, dopo aver mangiato tutto ciò che la natura offre, compresi animali randagi ed erba dei campi. Per lo stesso processo psicologico che ci fa dimenticare i dolori passati, la nostra società ha obnubilato le sofferenze del popolo italiano durante i primi decenni del XX secolo. Oggi si legge in continuazione di famiglie che muoiono di fame, ridotte a rovistare nei bidoni, ma forse ci siamo scordati cosa voglia dire la mancanza persino dei rifiuti di qualcun altro, l'assoluta indigenza, il bisogno di tutto. Siamo fortunati, a modo nostro, perché ci sono tante associazioni di mutuo aiuto, perché i progetti di sostegno per le famiglie, anche se quasi sempre privati e non statali, sono tanti e basta cercarli un po'. Leggendo queste pagine mi veniva da ridere: e noi ci lamentiamo delle nostre difficoltà, dei nostri dolori? Con che diritto siamo costantemente scontenti, quando la dispensa è ben fornita e abbiamo più del necessario? Quale stile di vita ci accontenterebbe mai?
Sull'onda del tema della povertà la Buck insiste molto in un'aspra critica sociale. Complice il periodo storico in cui è vissuta, l'aver visto dal vivo la rivoluzione dei Boxer, la crisi americana e tante rivolte popolari in giro per il mondo, l'autrice lancia un monito: quando in una società i ricchi tendono a diventare sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri la rivoluzione è inevitabile. Lo ripete ancora e ancora nel romanzo: ad un certo punto i poveri faranno ciò che fanno i poveri quando i ricchi sono troppo ricchi. Più chiaro di così si muore. Peccato che nessuno mai ascolti queste parole, di una chiarezza e di una semplicità sconvolgenti. Invece rimaniamo intrappolati in questo circolo vizioso, nell'incapacità di affrancarci, nel voler sempre prendere il posto dei ricchi e non cercare il vero benessere globale, accontentandoci di qualche restrizione. Non che la rivoluzione comunista, che partiva in un certo senso con questo scopo, sia riuscita nel suo intento... E' proprio una tara dell'essere umano, voler sopraffare l'altro. Forse è il marcio che ci portiamo dentro.
Sarà che sono donna, ma leggere della condizione femminile in giro per il mondo oggi come allora mi lascia sempre agghiacciata. Si continua a dire che il femminismo non serve ma se ci guardiamo indietro riscopriamo cose da far gelare il sangue e allora davvero non solo serve ancora il femminismo, ma anche una condivisione della memoria (la memoria, la memoria, questo tema che ritorna...), perché tutti si ricordino ciò che hanno passato le donne in passato e quanto questo sia inaccettabile. Le figure femminili del libro hanno vite private, che noi non vediamo mai davvero; sentiamo poco le loro voci e non conosciamo i loro pensieri, ma il trattamento riservato loro è terribile. Chiuse in casa, schiave dell'uomo (le figlie venivano proprio chiamate "schiave" dal padre, per dire...), costrette a fare le serve con ritmi estenuanti mentre generano figli a ripetizione e si preoccupano di mantenersi pazienti, accomodanti ed esteticamente piacevoli per il proprio uomo. Non esiste malattia né volontà personale. La nascita di una femmina è una sventura che può peggiorare solo nel caso in cui questa sia pure brutta. Vendere le figlie era un'abitudine e così la violenza sessuale sulle schiave. Insomma, una condizione di vita che fa rimpiangere quella del bue...
La Buck si vendica un po' di tanta sopraffazione rendendo i personaggi femminili nella storia più arguti e capaci di quelli maschili. Per quanto abbiano sempre le mani legate e quindi non possano davvero agire liberamente per la propria famiglia (non parliamo di volontà personale, per la carità...), esse suggeriscono, manipolano, punzecchiano e spesso danno una svegliata ai propri uomini. O-Lan, la moglie di Wang Lung, dà prova di essere mille volte più intelligente e consapevole del marito di ciò che accade loro intorno e compie quasi tutte le scelte più dolorose; ciononostante la sua vita rimarrà fino all'ultimo un inferno...
E spicca, tra tutte queste donne, la tenera presenza della figlia muta e ritardata di Wang Lung, che nonostante la disabilità lui curerà per tutta la vita con amore, quasi fosse la sua preferita. Sapere che la scrittrice aveva avuto dal primo marito una figlia con un grave ritardo mentale ci fa guardare a questo personaggio con ancora maggior dolcezza.
In conclusione, posso dire che il romanzo mi sia piaciuto davvero tanto e mi ha dato tantissimi spunti di riflessione. Purtroppo ho scoperto che esso fa parte di una trilogia legata alla famiglia, di cui il secondo e il terzo libro non sono mai stati tradotti dall'inglese. Poco male per me, che potrò, in caso, recuperarli e leggerli in originale, ma un po' mi scoccia. Questa poca attenzione per l'informazione del lettore è uno dei punti deboli delle case editrici.
Il romanzo è coinvolgente, la scrittura agile e scorrevole come non ti aspetteresti, il ritmo ottimo e le descrizioni della Cina rurale davvero curate. Meritava il Nobel, questa scrittrice? Non saprei pronunciarmi, anche perché dovrei leggere qualche altra sua fatica prima. Ricordo che il Nobel le è stato assegnato non per questo romanzo, ma per la sua produzione in generale e come questa ha saputo ritrarre la Cina dell'epoca. Le malelingue però dicono che il premio le sia stato assegnato grazie all'ottimo lavoro di marketing del secondo marito, agente letterario... Io di certo lo consiglio e mi rimane la voglia di leggere qualcosa di cinese cinese per completarne la visita!
P.S.: Naturalmente l'autrice che mi ha ispirato il post precedente è proprio lei.
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