Ogni tanto ci provo. Capita a tutti di essere stanchi e incasinati e di aver soltanto voglia di staccare il cervello e di godersi una bella storia avvincente, magari non di grande profondità ma con un buon ritmo e uno stile godibile. Dicevo, ogni tanto ci provo: guardo sullo scaffale, mi lascio sedurre da un libro all'apparenza facile ma interessante, decido di leggerlo. E inevitabilmente, nel 90% dei casi, rimango delusa.
Questo è il caso di "Cella 211", romanzo d'esordio dello scrittore spagnolo Francisco Pérez Gandul uscito nel 2004 e da cui è stato tratto un fortunatissimo film, vincitore di numerosi premi Goya (una sorta di Oscar del cinema spagnolo). Io il film l'ho pure visto, per disperazione oserei dire, e devo ringraziare la Rai perché mette alcuni film vincitori di premi e rassegne a disposizione degli spettatori in streaming, tra cui anche "Cella 211", che trovate qui. Io di cinema capisco poco e tutta quest'arte non l'ho vista, ma sicuramente il film è meglio del libro: semplicemente, nella stesura della sceneggiatura hanno cambiato la gran parte delle cose insensate, dando un minimo di realismo ai personaggi, agli eventi e al finale.
Ma andiamo per ordine.
"Cella 211" è la storia di Juan, un giovane appena assunto come secondino in una prigione di Valencia. E' la sua prima esperienza in divisa e dietro le sbarre, ma ha bisogno di questo lavoro, perché da poco si sta costruendo una famiglia e a casa lo aspetta l'amatissima moglie Elena, incinta di tre mesi (ok, questo lo veniamo a scoprire più avanti...). E' così ansioso di fare bella figura che decide di presentarsi al lavoro con un giorno di anticipo, così da conoscere i colleghi, farsi spiegare le procedure e le problematiche della prigione e familiarizzare con l'edificio stesso. La sfortuna però è sempre in agguato: il buon Juan, che da sempre soffre di crisi d'ansia quando si trova in una situazione nuova e stressante, in cui deve fare buona impressione, si sente male durante il giro delle celle e sviene. I colleghi, approfittando dell'assenza dei detenuti durante l'ora d'aria e di una cella rimasta libera lì accanto, lo stendono un attimo sulla branda, aspettando che riprenda i sensi. Poi tutto avviene in pochi secondi: scatta l'allarme, si sentono le urla dei detenuti in rivolta che si avvicinano velocemente e i secondini sono costretti ad abbandonare Juan per rifugiarsi nella zona di sicurezza. Fanno appena in tempo a chiudersi dentro che i detenuti del raggio 5, i più pericolosi della prigione, arrivano capitanati da Malamadre, un uomo che ha fatto dentro e fuori dal carcere da quando aveva 18 anni e ha ucciso l'amante di sua madre. I prigionieri trovano Juan nella cella 211 e lui, comprendendo la situazione, tenta l'impossibile: cerca di farsi passare per uno di loro.
La trama non è esattamente da premio Nobel per la letteratura, ma mi pareva un'opzione accettabile per il libro facile e d'azione che stavo cercando. Peccato che da qui in avanti la storia inizi a degenerare inesorabilmente. Non starò a elencare ogni singolo dettaglio che mi ha fatto imbestialire, ma un paio vanno citati, ad esempio, quindi mi scuso per gli spoiler.
Intanto il caro Juan viene scovato dai detenuti mentre è su una branda, in una cella, ancora mezzo intontito dallo svenimento, durante il quale ha anche sbattuto la testa. L'uomo che lo apostrofa chiedendogli cosa ci faccia lì è uno dei fedelissimi di Malamadre, ma lui non ne sa nulla, quindi potrebbe pensare di trovarsi di fronte a chiunque. Juan si finge un detenuto, ma l'altro è perplesso: se ci fosse stato un nuovo arrivo l'avrebbero saputo e poi c'è qualcosa che non va nella sua divisa. Decide quindi di chiamare il capo. Ebbene, quanto può averci messo? Uno, due minuti? Malamadre era lì, in corridoio, mica dall'altra parte della prigione. Tuttavia in quel lasso di tempo Juan (che un minuto prima non era in grado di alzarsi e correre per mettersi al riparo) riesce a: alzarsi, capire che rischia di morire e deve camuffarsi da detenuto, togliersi la cintura, sfilare i lacci delle scarpe, infilare i lacci nei buchi della cintura, nascondere il tutto in un buco che trova per caso dietro al water, svuotarsi le tasche, buttare soldi, fede nuziale e documenti nel water e tirare l'acqua, infilarci anche il portafoglio intero e incastrarlo in fondo, che non venga trovato, asciugarsi le mani e tornare a sedersi sulla branda. Ma che, veramente? E non è finita! C'è un ultimo dettaglio di cui Juan non era a conoscenza ma che verrà messo alla prova. Siccome la sua tenuta (non indossa la divisa ma normali vestiti scelti a casa che, casualmente, sono dello stesso colore e assomigliano straordinariamente alla divisa dei carcerati di quel particolare raggio) è leggermente diversa dal solito Malamadre sente odore di bruciato e gli chiede di abbassarsi i calzoni. Tutti i detenuti ricevono all'ingresso un paio di mutande identiche, ben riconoscibili. Come farà Juan a cavarsela? Be', ma è naturale... Perché qui scopriamo che Juan non porta le mutande! Ah, che gioia... Da qui in avanti sarà soprannominato il Mutanda e devo dire che forse è l'unica cosa godibile dell libro.
L'altro fatto che mi ha fatto perdere la pazienza nel corso della lettura è il cambiamento folle che avviene in Juan all'interno della prigione. Secondo me questo era anche un tema interessante, su cui sono stati fatti in passato svariati esperimenti psicologici e sociali con risultati anche allarmanti. Nel mio cuore speravo un po' che fosse proprio questo il tema portante, il materiale di ricerca che faceva da spina dorsale al libro. Evidentemente mi sbagliavo. Non si capisce come Juan passi dall'essere una persona normale, educata e civile, persino un po' ansiosa e bisognosa di conferme, a diventare il braccio destro (e poi l'avversario) di Malamadre, un uomo forte e sicuro di sé, che disprezza il sistema carcerario e il governo e non si fa scrupoli a sgozzare un collega, per quanto si tratti di una persona abietta che gli ha appena distrutto la vita. Cioè, è lo stesso che all'inizio è svenuto perché era il primo giorno di lavoro? E invece in mezzo ai detenuti se ne sta bello e beato, tutti si fidano di lui, impara subito nomi, modus operandi e linguaggio del carcere come se ci fosse sempre vissuto. Va bene la trasformazione, ma qui è un po' troppo e un po' troppo subitanea, senza una reale introspezione o un'escalation a giustificarla.
Potrei andare avanti per ore: i superdetenuti cattivissimi che si sconvolgono quando un uomo ne sgozza un altro (nemmeno a sangue freddo, dopotutto...), terroristi che si spaventano per la rivolta e hanno attacchi di cuore, poliziotti che si fanno sfuggire tra le mani giovani donne sole e disperate e tante altre delizie. Tutto però concorre a formare un puzzle inequivocabile: questo libro non ha un senso nemmeno a cercare di darglielo. Io ce l'ho messa tutta, credetemi. Sono anche stata derisa, qui a casa, perché ho continuato a leggere dopo la scena delle mutande (che è tipo pagina 10)...
A tutto ciò si aggiunge una tecnica narrativa sfibrante e traballante. L'autore usa tre diversi punti di vista: quello di Juan, quello di una delle guardie e quello di Malamadre. Non solo, i tre narrano anche in momenti diversi: Juan narra l'azione nel corso del suo svolgimento, mentre Malamadre e la guardia raccontano ciò che è successo al passato, perché il tutto si è già concluso e loro stanno soltanto riferendo i loro ricordi. Già così era un bel minestrone, visto che i salti da un personaggio all'altro sono continui e sfiancanti. In più lo scrittore ci mette la ricerca di uno stile che si adatti ai tre narratori, per cui fa parlare Juan in un modo, Malamadre in un altro completamente diverso e la guardia in un altro modo ancora. A libro finito posso dire che l'unico narratore sensato è il secondino. Degli altri due non so chi mi ha fatto più venire l'esaurimento, ma qualcosa in comune hanno: per tre quarti del libro non fanno altro che parlare, ricordare e pensare a scopare, donne varie in atteggiamenti più o meno sessuali e mostrare di essere veri macho con le palle. Non so se il povero Francisco Pérez Gandul soffrisse dei primi sintomi della crisi di mezz'età durante la stesura del romanzo, ma la narrazione calca la mano talmente tanto su questo punto che a tratti suona persino ridicola. A discolpa degli spagnoli, che non credo si riconoscano in questi sproloqui machisti, posso dire che le nuove generazioni con cui sono entrata in contatto negli anni hanno dato prova plurime volte di essere l'esatto contrario del maschio latino descritto in questo romanzo. Mi rimane l'amarezza di non aver avuto l'ebook ma il cartaceo, perché avrei potuto facilmente calcolare quante volte viene ripetuta la parola "palle" all'interno del libro.
Lo dico chiaro, in caso non si fosse ancora capito: di questo romanzo non si salva niente. Lo sconsiglio di cuore, perché penso ci siano modi migliori di buttar via i propri soldi e, più prezioso, il proprio tempo. Se vi incuriosisce guardatevi il film, che ha un finale totalmente diverso ma almeno è più credibile, e dimenticate che questo romanzo sia mai stato scritto.
Nessun commento:
Posta un commento