Niente panico, nemmeno io lo sapevo e a dire la verità anche adesso avrei qualche problema a localizzarla precisamente... Antigua, che con l'isola di Barbuda e un paio di isolette più piccole forma uno stato indipendente, è un'ex colonia britannica ed è anche il Paese natale della scrittrice della raccolta di racconti "In fondo al fiume" Jamaica Kincaid.
In verità questo non è il suo vero nome, ma lo pseudonimo scelto dall'autrice, che dopo aver trascorso la propria infanzia sull'isola di Antigua si è trasferita negli Stati Uniti e lì ha cominciato a scrivere per pura passione. Oggi è una scrittrice affermata, professoressa universitaria specializzata in letteratura dei Caraibi, ma le origini di Jamaica Kincaid vanno ricercate in ambienti molto più poveri e semplici, nella popolazione di colore discendente dagli schiavi deportati in America. Sono umili le origini dell'autrice che, nata nel 1949, a 16 anni fu costretta a lasciare la terra natale per andare a fare la ragazza alla pari in una famiglia di bianchi americani. La giovane dovette abbandonare gli studi, la casa e i propri famigliari e reinventarsi una vita, così lontana dal suo mondo.
Una delle cose che ho pensato è che non dev'essere stato facile, al di là delle aspirazioni di vita e degli affetti abbandonati, ritrovarsi a New York dopo aver vissuto per 16 anni su un'isoletta con poche migliaia di abitanti, circondata dall'Atlantico, in pieno clima equatoriale. Mi immagino la giovane Jamaica shockata, spaesata, e devo dire che la sua scrittura ha uno stile così particolare da restituirci un po' di quella sensazione. Io, almeno, addentrandomi tra le pagine del suo libro, ho avvertito un senso di vertigine.
La scrittura di Jamaica Kincaid è semplice e complessa allo stesso tempo: nonostante un lessico e una struttura sintattica chiara e lineare, quasi elementare, le frasi si legano tra loro in un continuo gioco di ripetizioni e rimandi, creando un effetto che oscilla tra la poesia e la prosa. E' uno stile surreale, onirico, in cui anche le descrizioni più realistiche si collegano a ricordi, sogni, visioni e leggende caraibiche in una trama inestricabile e difficile, a volte, da decodificare.
Siccome è difficile da descrivere e capisco che potrei non aver reso l'idea, ve ne regalo un pezzetto:
Nella notte, nel
cuore della notte, quando la notte non è divisa in piccolo sorsi come una bevanda zuccherata, quando non c’è un subito prima di mezzanotte, mezzanotte, o un
subito dopo mezzanotte, quando la notte è rotonda in certi punti, piatta in certi punti, e in certi punti come un buco
profondo, blu intorno e nero dentro, arrivano gli uomini che svuotano le
latrine.
Vanno e vengono,
camminando sul terreno umido con le scarpe di paglia. I loro piedi nelle scarpe
di paglia fanno un rumore secco. Non dicono niente.
Gli uomini che
svuotano le latrine vedono un uccello che cammina fra gli alberi. Non è un uccello. È una donna che si è appena tolta la pelle e va a bere il sangue dei
suoi nemici segreti. È una donna che ha lasciato
la sua pelle in un angolo di una casa di legno. È una donna assennata che ammira le api sull’ibisco. È una donna che, per scherzo, raglia come un asino quando ha sete.
Non è quello che definirei un libro leggero, facile. Sono soltanto 80 pagine, ma non sarei stata in grado di leggerle e apprezzarle tutte d'un fiato. No, l'ho centellinato, e alla fine credo di aver fatto la scelta giusta.
Come dicevo "In fondo al fiume" è una raccolta di racconti brevi, la prima pubblicazione di Jamaica Kincaid. Sicuramente quindi potrebbe essere considerata un po' immatura per certi versi; potrei esprimere un parere più informato se avessi letto altre opere dell'autrice, ma purtroppo non ne sono in possesso...
Le tematiche sono molto intime, autobiografiche, e ripercorrono un po' le emozioni e i ricordi della scrittrice dall'infanzia all'età adulta (per quanto giovanissima). Gli esperti, che sono tanto più bravi di me e vedono cose a me oscure, hanno trovato tanti argomenti di discussione in queste pagine che io non sono stata in grado di scovare; tuttavia uno dei temi portanti è sicuramente il rapporto madre-figlia.
Jamaica Kincaid visse una relazione molto altalenante e difficile con la madre: dopo una prima infanzia ricca di affetto e attenzioni, la morte del papà e l'arrivo di un secondo uomo nella vita della madre, da cui avrà due figli maschi, sgretola l'intimità familiare e toglie alla bambina i punti di riferimento avuti fino ad allora. Scoppiano quindi gelosie, risentimenti, litigi e ripicche, mentre la ragazza ricerca quel posto speciale tra le braccia della mamma che non c'è più. Il picco viene raggiunto proprio quando l'autrice ha 16 anni, poiché sarà la madre a decidere, in barba alla sua notevole carriera scolastica e alle sue ambizioni, di ritirarla da scuola e di spedirla a lavorare in una grande città sconosciuta a migliaia di chilometri di distanza, tutto perché la ragazza mandasse a casa soldi per aiutare la famiglia in difficoltà. La reazione, comprensibilissima, di Jamaica Kincaid è il rifiuto: non solo non manderà a casa nemmeno un dollaro ma non farà ritorno nella terra natale per circa 20 anni, tagliando completamente i ponti con i famigliari.
La figura della bambina e della giovane adulta in relazione con la madre torna regolarmente nelle storie che compongono questa raccolta, illustrando proprio questo percorso di affetti accidentato, la terribile dicotomia tra l'amore e la dolcezza suscitato dai ricordi e la sensazione di rivalità e abbandono che aleggia sul presente. E' una bellissima descrizione dell'universale rapporto di tensione tra madre e figlia, di un essere umano che si rispecchia in chi l'ha messa al mondo e vorrebbe non separarsene mai, pur ricercando la propria indipendenza, una personalità definita anche per opposizione. Il racconto a mio avviso più rappresentativo di questa tematica, e per gusto personale uno dei più belli della raccolta, è "Mia madre".
Non appena augurai la morte a mia madre e vidi il dolore che le procurava, fui dispiaciuta e piansi così tante lacrime che la terra tutto intorno a me ne fu intrisa.
Così inizia, dalla spaccatura tra le due donne, frutto delle parole avventate di una fanciulla che si mostra più sfrontata e aggressiva di quanto sia davvero. Da questo scontro prende il via il lento e tumultuoso corso del loro amore-odio, in un continuo cercarsi e respingersi. E' un desiderio di restare unite impossibile, ma la paura dell'astio che si è venuto a creare tra le due le spinge a fingere, a nascondersi al sicuro di una fredda distanza di sicurezza.
Fra me e mia madre c'erano adesso le lacrime che avevo pianto, e raccolsi delle pietre per costruire un argine in modo che quelle formassero un piccolo stagno. L'acqua dello stagno era densa e nera e velenosa, sicché potevano viverci solo turpi invertebrati, Io e mia madre ci guardavamo ora con cautela, sempre ben attente a ricoprire l'altra di gesti e parole d'amore e d'affetto.
Più la ragazza cresce e diventa donna più la tensione cresce. E poi il distacco, la separazione così netta, improvvisa e incompresa. La fanciulla si addentra nel mondo, scopre una nuova se stessa nel Paese straniero. Eppure da un grande dolore, quello dell'esilio forzato, nasce la rivelazione: a distanza, lentamente, diventando indipendente la giovane esce dal gioco delle parti e trova un proprio posto; di più, si ricongiunge alla madre che ha perso, ritrovandola in sé.
Che dire in conclusione? Questa autrice mi ha stupito, sconvolto i sensi e turbato qualche sonno con viaggi onirici tormentati tra la luce e l'ombra dei Tropici. Non posso che concordare con chi ha descritto la sua prosa come una poesia senza metrica né rima. Consiglio a tutti di dedicarle un po' di tempo, giusto il necessario per farsi trascinare in uno dei suoi vortici di simboli ed emozioni.
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