Mah...
Temo che mah sia il commento più sensato che io possa dare a questo libro.
Sarà che è francese, sarà che vuole essere un romanzo nonsense, genere che a me non piace, (almeno credo voglia esserlo, se no siam messi male), sarà che sono troppo poco intelligente per capire la grandezza di Queneau in quest'opera... Sta di fatto che ricordo pochi libri letti ultimamente che mi abbiano lasciato questo senso di tempo perso.
Ma andiamo con ordine.
"Zazie nel metrò" è la storia di una bambina, Zazie appunto, dall'età non meglio specificata che potremmo ricondurre agli 11/12 anni (grazie Einaudi per la copertina che non c'entra una mazza), che viene affidata per due giorni allo zio Gabriel. La ragazzina si rivelerà maleducata e attiraguai, dando luogo a una carrellata di incidenti, incontri, litigi e follie per le strade di Parigi.
La trama potrebbe sembrare simpatica, persino divertente. Invece a me questo romanzo non ha fatto ridere per nulla. Ci sono critiche autorevoli che mi fanno sapere che questo romanzo non voleva essere né serio né far ridere ma entrambe le cose e nessuna, perché è appunto una storia incentrata sul doppio, lo speculare, i contrari che finiscono per annullarsi, mischiarsi, confondersi. Sarà, sta di fatto che non l'ho trovato mai per nulla divertente.
Certo, è d'uopo ricordare che io non sono esattamente una mattacchiona, per cui l'arte di farmi sbellicare dalle risate è assai dura.
I protagonisti di questo racconto sono grotteschi, pieni di difetti e contraddizioni. Zazie è una ragazzetta pestifera, volgare, insofferente a qualsiasi situazione e tipo di autorità, arrogante e incapace di prendersi cura di sé, bugiarda e chi più ne ha più ne metta. Pare evidente che sia totalmente ineducata, incapace di creare relazioni civili di rispetto reciproco con le altre persone. Lei vuole, ordina, fa, senza ascoltare nessuno ma cercando poi aiuto e complicità nei più grandi al momento del bisogno. Ecco, mi pare abbastanza evidente che come personaggio mi abbia stomacato un filino.
Non è certo colpa sua; come sempre in presenza di bambini o adolescenti fuori di testa facciamo risalire la colpa ai genitori e qui di colpa ce n'è eccome!
La madre di Zazie la molla allo zio per andare a fare una due giorni di sesso col non-fidanzato, a cui pare corra dietro disperatamente. La stessa donna è famosa per aver ammazzato il padre di Zazie dopo averlo sorpreso in flagrante a molestarla sessualmente. Decisamente molte cose si spiegano... E' la stessa Zazie a raccontare questa storia al primo uomo incontrato per strada, con una freddezza allucinante, da far venire la pelle d'oca.
E che dire dello zio Gabriel? Personaggio fondamentalmente buono, ma inconcludente, non ha idea di come si gestisca una ragazzina e la trascina in situazioni e avventure che di certo non sono adatte alla sua età. Inoltre Gabriel incarna fin dall'inizio la doppiezza che caratterizza tutta l'opera: omone grande e grosso, dice di fare la guardia notturna mentre invece è la star di un famoso spettacolo in drag. Per tutto il corso del romanzo Zazie tempesta Gabriel di domande che non ottengono mai risposta, tra cui la più insistente è "Sei ormosessuale?" Sì, proprio ormosessuale, perché la ragazzina non sa nemmeno cosa voglia dire quella parola, ma l'ha sentita e non c'è modo che smetta di utilizzarla, storpiandola. Gabriel è l'anima d'artista del romanzo, colui che cita "Amleto" di Shakespeare e Robert Burns nei momenti più inaspettati, trasformandoli però in divagazioni filosofiche senza un filo logico chiaro.
Attorno a Zazie e Gabriel si affollano una schiera di personaggi uno più assurdo dell'altro, che ripetono ossessivamente le stesse frasi, gli stessi atteggiamenti, gesti, in una sorta di continua recita della propria parte. Non ritengo sia del tutto casuale quindi se molte delle azioni all'interno del romanzo vengono descritte da Queneau con lo stile tipico del teatro, tra parentesi.
Le identità si sommano, si scambiano, si confondono. Il personaggio più inquietante è certo l'uomo senza nome, o dai mille nomi, colui che entra in scena con gli atteggiamenti del pedofilo che accosta una ragazzina sola e si trasforma poi in questurino, vigile, scassinatore con fantasie di stupro e amante di vedove sole. Cambia nome e personalità come cambia costume, ma chi sia veramente non lo scopriremo mai.
Tutto questo certamente porta a delle riflessioni sulla personalità, la natura delle persone e le maschere che si mostrano agli altri fino a non sapere nemmeno più qual è la nostra vera identità. A mio parere questo tema però è stato trattato assai bene, sicuramente meglio, da altri autori, quali Pirandello tanto per citarne uno, e senza mettere in scena una storia tanto contorta.
La lingua in cui questo romanzo è scritto è un altro capitolo interessante. La traduzione italiana, mi dicono, non è delle migliori, ed è vero che risente di tutto un tot di modi di dire ormai arcaici e invenzioni linguistiche che forse stavano in piedi in francese ma in italiano non molto. E' però un dato di fatto che tradurre romanzi ricchi di giochi di parole, storpiature e montagne russe sintattiche non sia sempre fattibile. Non ho idea di come suonasse l'originale francese, ma in questo libro c'è un'accozzaglia di termini gergali e inventati, forme verbali in insalata e tanto tanto altro. Se devo essere sincera ho fatto un pensiero davvero cattivo: se non fosse stato Queneau l'autore, quindi uno scrittore già famoso e considerato geniale, questo romanzo sarebbe davvero stato pubblicato? Si sarebbe acclamata la sperimentazione linguistica o si sarebbe detto che l'intenzione poteva essere buona ma che il risultato è troppo, e alla fine perde di impatto reale? Perché a me ha fatto un po' quest'effetto.
Visto che ho letto Gadda da poco, si potrebbe dire che i due tipi di sperimentazione linguistica si assomigliano. Secondo me per nulla. Mentre in Gadda a mio parere le evoluzioni linguistiche tendono a dare forma al contesto e a caratterizzare i personaggi, in Queneau non ho visto la stessa puntualità. Senza nulla togliere alla grandezza dell'autore, lungi da me...
Verso la fine gli eventi prendono una piega decisamente nonsense, che fanno rimettere in prospettiva tutto ciò che è successo prima. Visto che l'autore voleva evidentemente scrivere un'opera di questo genere, quanto devo prendere per vero di ciò che è stato narrato precedentemente?
Ora, leggendo questo commento traspare a chiare lettere il mio disappunto. Mi spiace, perché sono ben consapevole di avere dei limiti personali e temo che questa volta mi abbiano impedito di apprezzare un'opera che da molti è considerata geniale e che rientra di diritto nei classici del '900. Invece io, purtroppo, son qui che guardo le pagine e mi chiedo perché mai questo libro meriti di essere ricordato come un classico. Non sono andata da nessuna parte, nemmeno nel metrò, proprio come Zazie che il metrò non lo prenderà mai; e se il messaggio che l'autore voleva darmi era proprio questo be', diciamo che questo è un tipo di letteratura che non mi interessa granché.
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