giovedì 12 gennaio 2017

32. AA. VV. - Il mare si lasciava attraversare

Più riguardo a Il mare si lasciava attraversareSi parla tanto di immigrazione, negli ultimi tempi, e forse invece di blaterare sarebbe un primo passo guardare al nostro passato, più o meno prossimo, e vedere come e perché simili fenomeni siano accaduti e con quali conseguenze.

L'Italia, da sempre terra di approdo per migranti, (mica per niente Virgilio fa risalire ad un esule, un uomo scappato dalla guerra nonostante le proprie nobili origini, la stirpe imperiale stessa nell'Eneide) ha vissuto negli anni il fenomeno dell'emigrazione e dell'immigrazione in prima linea. Sono milioni gli italiani all'estero, figli di seconda e terza generazione di poveri manovali e pastori partiti a cercar fortuna in America e in Australia vendendo tutto quel poco che possedevano; uomini ormai anziani e discendenti di operai ma non solo, che nel dopoguerra abbandonarono le città natie per andare a lavorare all'estero, in condizioni spesso drammatiche e impiegati nei compiti più pericolosi; giovani e non-tanto-giovani scappati alla ricerca di un posto qualificato, di meritocrazia o riconoscimenti impensabili in Italia, dove un sistema paludoso ha strozzato e ridotto all'osso la disponibilità finanziaria destinata alla ricerca, alla cultura, all'imprenditoria. E ancora italiani del Veneto che si trasferirono ad Ovest nel primo '900, italiani del Sud che accettarono la deportazione al Nord per lavorare nelle grandi fabbriche o nello Stato. Per non parlare di tutte quelle popolazioni che negli anni si sono mischiate, ad ondate successive, alla popolazione locale: nordafricani, centrafricani, cinesi, sudamericani, albanesi, uomini e donne provenienti dai Paesi dell'Ex-Jugoslavia, dall'Ex-Urss, dall'Est europeo. Mai come negli ultimi decenni l'Italia ha visto un continuo rimescolamento della propria popolazione e sarebbe davvero interessante capire quanto questo abbia cambiato la cultura italiana, le tradizioni, la lingua e la politica interna.

Eppure misteriosamente ad ogni nuova ondata migratoria si dimentica quella precedente; al posto di odiare i rumeni ora si insegna alla gente che il nemico sono i profughi che arrivano coi gommoni dalla Siria o dalla Libia, e quelli che sono arrivati tanto tempo fa sono ormai talmente inseriti all'interno del sistema da gridare allo scandalo di quest'invasione, dimentichi forse di ciò che hanno vissuto.
Io, che ho una pessima memoria ma quelle poche cose che ricordo le ricordo bene, quando penso all'immigrazione in Italia non so perché ma non penso mai a popoli dalla pelle di un colore diverso dalla mia. La parola "immigrazione" risveglia in me due forti ricordi: mia nonna, che dal Friuli venne spedita in Piemonte all'età di 12 anni per lavorare come donna di servizio, e le immagini viste al telegiornale di giovani uomini e donne albanesi, che scappavano cercando asilo politico in Italia.
Già, ma scappavano da cosa?
Allora ero una bambina e sapevo poco di concetti come la dittatura, ma si capiva bene che quella gente era disperata, se no non avrebbero certo scelto di venire in Italia in modo tanto rischioso, no? Quei giovani, perché io, chissà perché, me li ricordo tutti giovani e maschi, rischiavano di morire, mettevano a repentaglio la propria vita. Doveva pur essere la disperazione a spingerli!

Oggi, in Italia, ci si è dimenticati che quasi trent'anni fa migliaia di albanesi trovarono rifugio da un Paese che non aveva lasciato loro alcuna speranza per il futuro. Oggi, quei giovani, si sono trasformati in adulti che hanno una famiglia, dei figli nati in Italia e un lavoro incerto tanto quanto chi, nel Bel Paese, c'è nato.
La letteratura però non dimentica ed è uno dei prodigi per cui dovremmo dire grazie ai libri di esistere. La letteratura ci narra una storia ormai passata ma che tra le pagine rimane sempre viva, sempre attuale, e ci aiuta a ricordare che ciò che succede oggi è già accaduto. Ci permette di immedesimarci in chi, quei cambiamenti, li ha vissuti e cercare somiglianze e differenze, perché ci aiutino a leggere il nostro tempo presente.

Il librino "Il mare si lasciava attraversare", venduto insieme a Il Sole 24 Ore, è una riduzione del testo originale, pubblicato dalla Salento Books, e raccoglie tre racconti lunghi scritti da altrettanti autori albanesi: "Senza bagagli" di Elvira Dones, "L'ombra dell'altro" di Fatos Kongoli e "Il lunghissimo volo di un'ora" di Amik Kasoruho. Non serve dire, visto le premesse, che tutti e tre vertono sul tema dell'esodo.

Il primo tratta di una giovane donna, Klea, divisa tra la voglia di abbandonare un Paese che l'opprime e la soffoca, dove è controllata, valutata in ogni aspetto della sua vita, mai libera di agire o di esprimere se stessa, e l'ansia e la paura per ciò che questo comporterebbe, in particolare per il suo bambino rimasto in Albania.
Sebbene fosse tagliato in più punti (io odio con tutto il cuore le riduzioni letterarie, sono un vero stupro e stravolgono il ritmo della narrazione, peraltro escludendo spesso dettagli molto importanti), ciò che più mi ha colpito di questa storia è stato il finale. Qual è il trattamento a cui vanno incontro i rifugiati - o almeno qual era il trattamento riservato loro fino a qualche anno fa? Come ci si sente ad essere di colpo in balia di una burocrazia che non si capisce, in uno stato che non parla la propria lingua e che sembra considerarci degli invasori? Perché se è vero che chi cerca asilo politico in un altro Paese deve adattarsi a ciò che troverà, è altrettanto vero che non è tanto facile per una persona di famiglia mediamente benestante, o semplicemente non disperata, adattarsi alla freddezza e all'incertezza che questo grande passo impone. Vero, è una scelta personale, ma questo non significa che una volta presa sia facile da digerire. Insomma, un interessante spunto di riflessione.

Il secondo racconto ha per protagonista un bambino e la sua triste condizione di vita. Rimasto orfano, è una sorella di cui non ha nemmeno mai sentito il nome a prenderlo in casa con sé e il marito. L'Albania raccontata da Kongoli è quella più rurale, povera e violenta: un po', purtroppo, quella che si figura l'italiano medio quando sente nominare questo Paese. I personaggi sono umili e in balia di un sistema rigido, spietato, che riduce tutti a disperati in preda alle proprie pulsioni: il marito violento e ubriacone, la moglie sottomessa ma infedele, persino il bambino è corrotto da questo ambiente e diventa un guardone. Insomma, il ritratto di un'esistenza straziata che non può che portare alla violenza o alla fuga.

La terza storia, infine, è un viaggio verso l'Italia e nel proprio passato allo stesso tempo. Forse la più esaustiva delle tre nello spiegare il perché tanti albanesi allora scelsero di prendere il mare e di fuggire dalle proprie città, perdendo tutto ciò che avevano e spesso separando famiglie unitissime, dà attraverso il racconto dei ricordi di un padre la visione di un mondo che non va avanti, che non dà futuro alle nuove generazioni, e che è destinato a morire. Mi ha fatto tanto pensare anche ai giovani italiani in fuga all'estero, che si trasferiscono nel nord Europa o in Australia per fare i camerieri, che almeno è un lavoro, almeno è in regola, almeno ho la speranza di combinare qualcosa in questo Paese a differenza dell'Italia.

Pagina dopo pagina appare chiaro ciò che gli emigranti cercano nella Terra Promessa: la dignità e la libertà.
Dignità umana, l'essere riconosciuti come persone degne di avere diritti e doveri come tutti, poter contare sull'essere accolti e valutati per ciò che si è e si sa fare, non per il proprio nome o per i vestiti che si portano o ancora per quanti soldi si è disposti a sborsare per andare avanti.
Libertà di essere se stessi e di disporre della propria vita, di viaggiare, sposarsi, scegliere il proprio lavoro e gli studi, fare amicizie e coltivare le passioni più disparate. Libertà di opinione e parola, di leggere la verità senza censure, di scrivere e fare domande senza paura della polizia o dell'ostracismo sociale.
Sono due parole belle e grandi che tutti noi amiamo e che ci stanno a cuore. Possiamo davvero dire di offrire questi privilegi a chi viene a vivere in Italia? E a noi italiani stessi questi privilegi li sappiamo offrire? Probabilmente la risposta realistica, non cinica come tanto va di moda, è in gran parte sì, ma non ancora del tutto. Bisogna lavorare e tanto perché il mondo in cui viviamo arrivi a creare un sistema davvero giusto, che garantisca piena dignità e libertà a ogni persona.

E' stato bello leggere questi racconti, perché mi hanno aperto un mondo di idee, riflessioni, considerazioni inaspettate. Ci vogliono più libri così nella vita. Questo sì che serve davvero.

Concludo con una canzone italiana non più giovanissima, canzone d'emigrante, che viene citata con grande commozione all'interno del racconto "Il lunghissimo volo di un'ora". L'Italia con la valigia da Sud a Nord. E se tanto parlava al cuore di chi stava dall'altra parte del mare in procinto di imbarcarsi su un aereo senza ritorno un motivo ci sarà, no?


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