mercoledì 20 dicembre 2017

76. Gabriele D'Annunzio - L'innocente

Ci sono autori classici che piacciono e altri che proprio non digeriamo. Ognuno ha le proprie preferenze ed è anche il bello di essere umani, questa diversità. Questo per dire che so quanto sia un grande scrittore italiano Gabriele D'Annunzio; ciononostante io con lui ho qualche problema. Sarà l'influsso del fastidio per il personaggio storico D'Annunzio, o per la sua vita privata; sarà il suo modo di scrivere spesso tortuoso e barocco, pienamente decadente, che non è nelle mie corde. Non so di preciso cosa non mi convinca, ma qualcosa c'è. Probabilmente un mix dei suddetti.
Il mio primo incontro con D'Annunzio fu negli anni della scuola, con "Il Piacere": piena di buona volontà, ne lessi 50 pagine e poi lo abbandonai, morta di noia. Si sa come sono gli adolescenti, io non facevo eccezione...
Però ricordo ancora, come un'eco lontana e a malapena distinguibile, la lezione che la mia professoressa d'italiano tenne sul romanzo "L'innocente". C'era un brano tratto da questo romanzo sulla nostra antologia e la gentilissima donna, sapendo quanto odiassi leggere ad alta voce, mi chiese di farlo. Sarà stato questo o il nome del bambino protagonista, Raimondo, a restarmi impresso? O forse la crudeltà del gesto di cui D'Annunzio scrive in questo libro, un infanticidio appunto? Comunque sia ho riconosciuto nel libro usato che ho salvato dal cassonetto qualche tempo fa un segno del destino e ho voluto con esso dare una seconda chance a questo autore. Risultato: non sarà mai il mio preferito e non ne serbo un ricordo imperituro, ma non mi è dispiaciuto, letto a quest'età.

"L'innocente" è presentato come una lunga confessione, lo sfogo in prima persona di un uomo che, a un anno di distanza dal fattaccio, ancora non trova pace e che tuttavia non riesce a riconoscersi pentito. Scritto tutto in prima persona, con il passo quasi di un diario di memorie, il protagonista è Tullio Hermil, ricco proprietario terriero dal temperamento irrequieto e col vizietto delle donne, tipico uomo dannunziano insomma. E' sposato da sette anni con la bella Giuliana, da cui ha avuto due figlie, ma nonostante sostenga di amarla teneramente e nonostante lei paia essergli devota in maniera quasi masochista, lui non riesce a fare a meno di cercare altrove ardore e intimità, inanellando una sfilza di amanti a cui è focosamente legato e per le quali trascura la famiglia (senza nemmeno fare finta di nasconderlo, se non a mamma, che poi ci rimane male).

"Io credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini intellettuali: - essere costantemente infedele a una donna costantemente fedele.
'Che cerchi? Tutte le ebrezze della vita? Esci, va, inebriati. Nella tua casa, come un'immagine velata in un santuario, la creatura taciturna e memore aspetta. La lampada, dove tu non versi mai una stilla d'olio, rimane sempre accesa.' Non è questo il sogno di tutti gli uomini intellettuali?
Anche: 'In qualunque ora, dopo qualunque fortuna, ritornando, tu la ritroverai. Ella era sicura del tuo ritorno ma non ti racconterà la sua attesa. Tu poserai il capo su le sue ginocchia; ed ella ti passerà lungo le tempie l'estremità delle sue dita, per magnetizzare il tuo dolore.'"

(Ma che danni ha fatto nella mente dell'uomo il mito di Ulisse?)

Fin qui la storia potrebbe essere banalmente dannunziana e pure un po' allergizzante. La crudeltà e la freddezza di Tullio nei confronti di Giuliana nella prima parte del romanzo è allucinante, ma incredibilmente realistica, perfetto specchio dell'uomo narciso egocentrico ed egoriferito. Tutto cambia però quando Tullio viene mollato in tronco dall'amante e in breve tempo si ritrova a scoprire uno scioccante segreto: Giuliana è incinta e il padre non è di certo lui.
Io sono quel tipo di donna che non è attratta dal genere dannunziano nemmeno fosse l'ultimo uomo sulla faccia della terra; anzi, gli mollerei volentieri una scarpata in faccia metà del tempo. Ecco, è proprio il tipo di uomo che mi suscita violenza, quindi questo colpo di scena, che poi tanto colpo di scena non è perché lo si avverte arrivare fin dall'inizio, è stato goduriosissimo.
Da lì in avanti la narrazione si fa più oscura, contorta, perché più intima e personale, più incentrata sui tormenti e le mille contraddizioni di Tullio, che non sa come reagire alla situazione.

E' inutile nasconderlo, anche perché D'Annunzio lo dice nella prima pagina del romanzo: l'innocente del titolo è questo bambino figlio dell'adulterio, un infante non voluto né dal padre né dalla madre, ma che porta invece scompiglio e dolore nella loro casa, persino desiderio di morte. Fino a giungere al gesto più estremo e mostruoso: l'omicidio.

[Spoilers ahead!]

Possiamo davvero considerare, d'altronde, un infanticidio ciò che fa Tullio? Mi è piaciuto molto come D'Annunzio ha trattato questo tema, prima di tutto con un'introspezione molto realistica e che per questo lascia a volte il lettore perplesso, senza parole: Tullio è un inconcludente, nella vita sa fare poco e niente, come tutti i superuomini perdenti dannunziani; perciò anche nel delitto, come nel rapporto amoroso, è in balia di un'altalena di emozioni e desideri che lo portano a lasciar fare quasi totalmente al destino.
Cosa fa davvero Tullio? Espone il bambino alla finestra aperta sul vento invernale per poco più di un paio di minuti, poi si spaventa, ha paura di essere scoperto, e lo rimette al calduccio. Può essere davvero questa la causa della morte del piccolo, anche se a così breve distanza? Non è invece più probabile che il bambino abbia preso un malanno dagli adulti che gli stavano attorno o dalle sorelle più grandi? Ovviamente questo non lo sapremo mai e a Tullio non interessa; lui si sente comunque partecipe, colpevole della morte del piccolo.

[End of spoilers]

La caratterizzazione dei due protagonisti adulti della storia, Tullio e Giuliana, mi è piaciuta molto. Una delle cose che più mi ha colpito di Tullio è l'infantile mancanza di pentimento: anche quando ha momenti di dispiacere, di senso di colpa, non mostra di aver interiorizzato il proprio errore, di aver imparato dal proprio vissuto. In tutti i suoi desideri è sempre preda dell'istinto o dell'emozione del momento, incapace di anteporre buon senso o razionalità al capriccio, e quando si trova a dover prendere decisioni difficili, da vero adulto, colme di responsabilità, va in crisi. Se dimentico che Gabriele D'Annunzio era inquietantemente simile ai suoi protagonisti trovo il tipo umano descritto verissimo e ben rappresentato.
Invece Giuliana è un mistero, un segreto che avrei voluto svelare, indagare, ma che l'autore non ci mostra mai davvero. La donna è un essere insondabile per lui, segue le sue meccaniche aliene, così lontane da quelle dell'uomo che le sta accanto da essere incomprensibili. Tullio non sa nulla di Giuliana; pensa di conoscerla e la idealizza, la immagina, proietta i sentimenti e i desideri che lui vorrebbe trovare in lei mentre lei vive una sua esistenza segreta, di cui il lettore è altrettanto ignorante. Giuliana è un personaggio oscuro, sofferente, anch'ella ricca di contraddizioni, ma molto intensa nelle sensazioni, spesso esagerata. Forse è anche questa impossibilità, da parte mia, di entrare in contatto con lei davvero, di scoprire cosa senta e cosa pensi dietro al paravento di svenevole silenzio stoico, che me l'ha resa così attraente. Come avrà reagito alla fine, alla morte dell'innocente? Si sarà ripresa dal suo letto di malattia, che era anche un modo per punirsi? Sarà cambiato qualcosa tra lei e Tullio? E soprattutto, ciò che c'era tra loro due era ancora salvabile?

Non tutto mi è piaciuto, chiaramente. Il linguaggio di D'Annunzio è anche piuttosto complesso, ricco di arcaismi e costruzioni contorte, di citazioni in lingua straniera (non tradotta), che rendono la lettura più lenta. E' necessaria una buona cultura letteraria di base e una concentrazione superiore alla media per seguire la narrazione dannunziana; non è più un autore che proporrei agli studenti al liceo, se non per brevi brani in lettura condivisa e commentata in classe. Inoltre, per quanto interessante fosse l'introspezione psicologica del protagonista, alcuni passaggi sembrano davvero troppo lunghi e ripetitivi. Anche alcuni mezzi stilistici, utilizzati per sottolineare simboli e metafore, saltano fin troppo all'occhio.
In conclusione, questo romanzo è stato interessante e mi ha dato molti spunti inattesi, mi ha fatto rivalutare D'Annunzio da assolutamente illeggibile a potenzialmente stimolante e mi ha fatto fare un altro po' pace con la letteratura italiana. Niente che mi abbia cambiato la vita, vabbè, ma non tutto può essere nelle nostre corde...

Curiosità: in quest'opera D'Annunzio cita Tolstoj. E' proprio necessario che io riavvicini anche quest'autore l'anno prossimo...

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