venerdì 21 aprile 2017

47. Stephen King - L'occhio del male

Più riguardo a L'occhio del maleChi mi conosce sa che io amo molto Stephen King e la maggior parte della sua produzione. In particolare amo i romanzi usciti sotto lo pseudonimo di Richard Bachman, come "L'uomo che corre" ("The Running Man") o "La lunga marcia" ("The long walk"), storie distopiche dai temi forti e assai attuali. Quindi si potrà comprendere il mio dolore nello scoprire che questo romanzo, invece, è una palla mostruosa.
"L'occhio del male", che già dal titolo promette dolori (in lingua originale il titolo è "Thinner", cioè "Più magro", che se non altro c'entra con la storia), è l'ultimo libro pubblicato da King sotto falso nome prima di essere scoperto. L'occhio a cui si fa riferimento è il malocchio, interpretato nel romanzo come una maledizione.

La storia è semplice, una trama che si poteva sviluppare con agio in un racconto di media lunghezza e che invece come romanzo fa acqua, o meglio latte alle ginocchia, da tutte le parti.
Un avvocato obeso dell'America bene investe inavvertitamente una vecchia zingara perché poco attento alla guida. La polizia locale e il giudice lo difendono, scagionandolo, perché in fondo gli zingari danno fastidio a tutti in questo romanzo. Il capo degli zingari, un vecchio dal volto sfigurato, lancia una maledizione sul protagonista: quella di dimagrire fino alla morte.
Ovviamente ci viene descritto lo stupore nella perdita di peso iniziale, l'orrore nel rendersi conto che non c'è modo di fermarla, la reazione di chi sta attorno a Billy, il protagonista. E Billy non è uno che se ne sta con le mani in mano: indaga, cerca di capire cosa sia successo, di chi sia davvero la colpa e chi siano questi maledetti zingari con qualsiasi mezzo a propria disposizione. La faccenda volgerà al cruento, senza tuttavia alcuna reale nota horror. Si tratta più di soprannaturale drammatico, un mix che può descrivere l'uso di magia nera senza toccare i mostri nell'armadio di ciascuno di noi.

C'è poco da dire su questo romanzo. Non ha una vera carica di critica sociale, dal mio punto di vista, non affronta reali problemi se non portare all'attenzione del lettore ciò che tutti sanno, e cioè che le popolazioni rom, così come tante altre minoranze, sono rifiutate dalla società e abusate da chi si sente migliore di loro da tutta l'eternità. Certo che se poi tu, scrittore, li ritrai come stregoni e assassini spietati non aiuti...
Anche lo stile è scialbo. Non ci sono passaggi davvero emozionanti o poetici, come spesso accade invece in King. La storia è scontatissima e si può prevedere fin dall'inizio come andrà a finire. Nulla mi ha sorpreso, dall'inizio alla fine.

Una curiosità: ho detto prima che questo è l'ultimo libro uscito originalmente con lo pseudonimo di Richard Bachman, prima che il collegamento con King fosse fatto da un libraio americano e la realtà svelata. Devo dire che il vecchio King non si stava impegnando così tanto a nascondersi: come succede ogni tanto nei suoi libri, perché è un narcisista dei peggiori, l'autore qui si autocita nel romanzo, o meglio Bachman cita proprio Stephen King. A Billy sembra di essere in un romanzo di Stephen King, nella fattispecie. A me questa cosa di citare se stessi fa una tristezza senza precedenti, come già era successo nella saga della Torre Nera...

Conclusione: questo romanzo mi ha delusa profondamente. Mi ha lasciata annoiata e insoddisfatta, la storia è banale e non c'è nessuno stimolo intellettivo o psicologico. Un libro da dimenticare e che consiglio a tutti gli amanti di King di abbandonare tranquillamente sullo scaffale, se non vogliono sprecare tempo prezioso.

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