Di questo romanzo si è tanto parlato, perché il tema - scabroso - ha infiammato la folla. Inutile girarci attorno, perché ormai lo sanno tutti: per quanto l'autore, Walter Siti, cerchi di nascondere questo dettaglio fino a circa un terzo del romanzo, il protagonista, don Leo, è un prete pedofilo. Quindi si parla di pedofilia... ma non solo.
Certo è che scrivere un romanzo del genere ha destato qualche sospetto e molte critiche. La letteratura può davvero parlare di tutto? Non ci sono degli argomenti tabù che è meglio non affrontare? Non si può mettere un limite a ciò che viene raccontato? La risposta scaturita dal dibattito è, ovviamente, no: la letteratura non ha limiti, può dire tutto ciò che vuole e raccontare qualsiasi cosa, anche le più perverse e dolorose.
Io credo che il grande scandalo sia nato, nella maggior parte delle persone, dal fastidio di sentirsi una pelle sporca addosso. Cerco di spiegarmi meglio. Walter Siti ci racconta la storia di questo giovane prete, poco più che trentenne, un uomo profondamente caritatevole, che si impone quotidianamente sofferenze e deprivazioni e che prega fervidamente, parlando con dio. Si percepisce chiaramente che quest'uomo è tormentato, che qualcosa lo rode e che per questo cerca quasi di ripagare l'umanità con la propria dedizione. La narrazione salta tra i protagonisti, soprattutto nell'ultima parte, ma per i primi capitoli è incentrata su di lui, ce ne mostra i pensieri, i momenti di grande solitudine, i timori e le insicurezze... Insomma, è difficile non provare un po' di empatia per questo giovane, se si legge con trasporto. Poi, al capitolo 3, sgancia la bomba: BUM, pedofilo. E il lettore si sente quasi colpevole, perché ha empatizzato con un uomo perverso, malato, che fa del male ai bambini o almeno sogna di farlo, e ci si sente un po' sporchi davvero. Come se solo intenerendosi per lui ci si fosse mostrati compiacenti, complici. Questo però è anche la forza del romanzo, da cui non si può sfuggire, che ci costringe a confrontarci con tematiche scomode che rifuggiremmo volentieri.
Non è l'unica tematica affrontata dall'autore in questo romanzo. Si parla molto di immigrazione e delle difficoltà di integrazione, del confronto tra Islam e Cristianesimo, di violenza domestica, del rapporto tra omosessualità e Chiesa. E poi della vita dei preti, uomini come gli altri, con le loro idiosincrasie e difficoltà ma profondamente soli, che finiscono per cercare conforto in ciò che non dovrebbero avere: le braccia di una donna, un bicchiere di alcool, la pornografia. E' un libro che scopre molti nervi, che mette molta, forse troppa carne al fuoco: sì, anche troppa, perché nel sovrapporsi di tematiche così pesanti si genera un turbinio caotico (ma non è forse così la vita?) che, nel mio caso, ha finito un po' per anestetizzarmi. E quindi ho iniziato a non dispiacermi più tanto per i dolori dei vari protagonisti e col passare delle pagine mi sono un po' annoiata anche dello struggimento di padre Leo.
Questo è il primo libro di Walter Siti che leggo e non so se sia il suo modo di scrivere, ma non è un autore facile. Attenzione, con ciò non intendo né noioso né ermetico, ma complesso. Siti è un uomo colto e non manca di farcelo notare, con citazioni e riferimenti spesso, ma non sempre, spiegati in nota. Usa una lingua sincretica, che mischia italiano e inglese, ricreando quell'Italenglish tanto in voga nella Milano bene che fa da protagonista alla storia, ma inserendo anche frasi e commenti in dialetto milanese (che spero i non avvezzi possano comprendere). Inoltre padre Leo si rivela un uomo estremamente contorto nella forma mentis, oltre che nella sessualità, e le sue riflessioni, i suoi pensieri e il filo dei suoi ragionamenti è difficile da seguire. Insomma, bisogna aver voglia di leggerlo, 'sto romanzo, perché è tutt'altro che una passeggiata.
Se c'è una cosa che mi ha lasciata abbastanza indifferente e perplessa è proprio il finale. Chi si aspetterebbe una bella morale rimarrà deluso: sembra che il messaggio finale sia "Se il destino ci mette lo zampino anche resistere alla pedofilia può distruggere la vita di un bambino". Vabbè, diciamo che forse i problemi del bambino in questione erano altri, a cui non serviva la ciliegina della pedofilia. Ma non dico altro per non spoilerare.
Nel complesso è un romanzo interessante, che inizia in sordina ma cresce di tensione col passare dei capitoli, ma non è riuscito mai a catturarmi del tutto. Racconta una serie di drammi complessi ma fallisce un po' nell'approfondimento, rimane tutto un po' in superficie e io ho sentito un senso di incompletezza nell'arrivare in fondo. Inoltre il protagonista, con l'avanzare della storia, diventa sempre più farneticante, per cui alla fine non vedevo l'ora di mettere un punto alla storia. Il problema forse, nel suo caso, non era la pedofilia in se stessa, ma proprio un disturbo mentale grosso come un tir. Non posso dire che il romanzo non sia piacevole, perché l'ho letto volentieri e non mi ha propriamente deluso, ma non è entusiasmante, non mi ha aperto grandi finestre mentali e non mi ha lasciato granché. L'ho anche trovato un po' dispersivo, con troppi personaggi buttati nel calderone che poco contribuiscono alla trama e che creano per lo più confusione.
Assolutamente sconsigliato a chi è sensibile al tema della pedofilia e a chi si impressiona, soprattutto chi ha bambini piccoli: qualche descrizione c'è e potrebbe turbare. Per tutti gli altri una lettura che può essere interessante ma non certo un capolavoro. Discreto.
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