Non leggo molti premi Nobel. Non è una scelta, la mia; più semplicemente credo che molti dei vincitori non siano stati poi tanto pubblicizzati, non siano famosi quanto autori meno titolati ma scrittori di bestseller a iosa e che quindi sia più difficile, senza un'intenzionalità, incappare in una delle loro opere. Un vero peccato, visto che di recente, complice la mia ricerca di autori internazionali, ho spulciato l'elenco completo dal 1901 e ho scovato un paio di nomi che mi sembrano vere e proprie chicche. Meno male che ci pensa il gruppo di lettura a impormi letture un po' più elevate e di nicchia, almeno nel panorama letterario italiano. Questa volta è toccato a Kawabata.
Prima di tutto vorrei rassicurare chi si immagina un gruppo di lettura che non va in ferie manco d'estate. Il coacervo di menti anarchiche con cui mi accompagno fanno vacanza eccome; soltanto ci piace riempire il vuoto lasciato nei mesi estivi (in questo caso ben 2 mesi e mezzo!) con qualche compito, e approfittando del periodo più rilassato e di certo più lungo scegliamo ogni anno due romanzi, uno breve e uno un po' più mattone, perché ci tengano compagnia.
"Bellezza e tristezza" di Kawabata Yasunari è davvero corto, soltanto 171 pagine nella mia edizione economica Einaudi, ma è un libricino delizioso.
Pubblicato nel 1965, tre anni prima che l'autore si aggiudicasse il Nobel, primo giapponese a riuscire nell'impresa, questo romanzo ha un ritmo, una delicatezza e un'atmosfera tutta nipponica. Impossibile non innamorarsi dei luoghi descritti dall'autore, così come della storia e tradizione che trasudano dalle pagine. Il Giappone degli anni Sessanta è ancora in bilico tra passato e modernità, tra donne in kimono e apertura all'Occidente.
Dissento con tutta me stessa dall'affermazione dello sciagurato autore della quarta di copertina nella mia edizione, che definisce l'atmosfera della vicenda "grigia, crepuscolare e quasi rassegnata". Non lo è per niente, almeno a me ha dato un'impressione totalmente opposta. Anzi, grazie alle pennellate descrittive di Kawabata, puntuali ed evocative pur non essendo affatto pesanti nell'economia della narrazione, non ho potuto trattenermi dal ricercare su Google fotografie dei posti che i protagonisti visitavano. Mi hanno incantata. Foreste di bambù, fiumi contornati da aceri dalle foglie infuocate, colline verdi su cui sorgono templi antichi che conservano una tradizione millenaria e giardini di rocce e di muschio. I miei occhi si sono pasciuti a lungo delle bellezze del Sol Levante; dopo tanto tempo ho riconsiderato la possibilità di farci una vacanza, costi permettendo.
Non sorprende che si respiri un'aria tanto tradizionale quando la maggior parte delle vicende si svolgono a Kyoto, città che ha mantenuto il tocco e le atmosfere del passato, come congelata nel tempo. I protagonisti del romanzo sono pochi, uniti da profondi legami affettivi: Toshio Ōki, scrittore cinquantenne di successo diviso tra la propria routine e i ricordi della giovinezza, Otoko Ueno, pittrice tradizionale rimasta nubile per scelta a causa di un amore mai scordato, Keiko Sakami, giovane allieva di Otoko dalla personalità intensa e disturbata, a tratti ossessiva, Fumiko, moglie di Ōki, donna rancorosa e insicura ma caparbia, e infine Taichiro, figlio di Ōki e Fumiko, giovane professore universitario dal carattere remissivo soffocato dalla fama di suo padre ma innamorato dei propri studi classici. Le loro vite si incroceranno, in parte per la seconda volta, dando forma a un domino di eventi che li porterà a nuove prese di coscienza e alla fine della vita come l'avevano conosciuta fino a quel momento.
Credo sia naturale per un occidentale provare dei momenti di puro estraniamento nel leggere i dialoghi e i pensieri dei protagonisti. La mentalità giapponese ci è aliena da molti punti di vista e le dinamiche nei rapporti sociali, soprattutto tra uomo e donna, seguono convenzioni che a noi paiono folli se non ridicole. Eppure chi ha un po' di dimestichezza col Giappone ritroverà senz'altro il ritmo dei dialoghi brevi, essenziali e circolari e la lentezza meditativa caratteristica di questo Paese.
L'autore ha scelto peraltro quasi tutti protagonisti dal forte temperamento artistico, che più sono inclini a seguire le passioni e i movimenti dell'animo umano ma che soprattutto sanno leggere nella natura e nell'arte che li circonda messaggi profondi.
Una cosa quasi buffa che mi ha colpito è la somiglianza tra il comportamento delle donne giapponesi ritratte nel romanzo e lo stereotipo delle donne italiane del Sud, specialmente in riferimento allo stesso periodo storico: donne silenziose, legate alla casa e in qualche modo votate alla famiglia come unico mezzo di affermazione di sé, sottomesse per convenzione al marito ma, allo stesso tempo, inclini a sceneggiate isteriche e scoppi di passionalità quasi incontrollata.
Ci sono molti temi classici della letteratura giapponese, ma uno che mi ha colpito è la forte presenza della componente omosessuale nella storia. Non è la prima volta che mi imbatto in questa tematica in romanzi di autori giapponesi, anzi posso forse dire che è citata in quasi tutte le opere su cui ho messo le mani. Il che mi ha fatto pensare... Soprattutto perché avevo l'impressione che i giapponesi non vedessero proprio la cosa di buon occhio, ma potrei aver travisato drammaticamente.
Detto questo, non posso che consigliare la lettura di questo romanzo. Kawabata ha una forza narrativa incredibile e mi ha davvero irretita. Credo che comprerò anche qualche altra sua opera... E' scorrevole e godibile, ben strutturato e, nonostante i frequenti riferimenti alla cultura giapponese, tutto è spiegato in modo semplice e diretto, a portata di occidentale e senza nemmeno una noticina!
La lettura perfetta per chi vuole immergersi nel Giappone.
P.S.: In seguito alla prima riunione del gruppo di lettura, posso dire che ahimè, il libro agli altri non è piaciuto affatto. Non so, resto un po' dell'idea, ascoltati i commenti di tutti, che sia proprio la mentalità e la cultura giapponese a non essere stata capita e apprezzata. Mi spiace perché per me è stata invece una scoperta davvero affascinante. Che dire, de gustibus...
De gustibus... Però è stato bello leggere questo post speculare e opposto al mio, anche se dubito di voler leggere ancora Kawabata (ma leggerò con piacere i tuo post sui suoi libri)
RispondiEliminaPosta posta posta posta posta posta posta posta posta posta posta...
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