Ho già parlato del romanzo "Venere Privata" di Giorgio Scerbanenco e di quanto mi sia piaciuto, sorprendendomi.
Al centro delle vicende è Duca Lamberti, un detective da noir americano, da hardboiled, uno di quegli uomini fascinosi in impermeabile che non ha paura di menar le mani ed infrangere qualche regola pur di far trionfare la legge. Scerbanenco ha fatto in tempo a scrivere solo quattro libri di questa serie, perché poi purtroppo è morto prematuramente, con almeno un paio di trame già imbastite ma non ancora messe su carta. Ebbene, potevo io trattenermi dal leggere tutta la serie, soprattutto una volta scoperto che Tenar li possedeva tutti ed era disposta a prestarmeli?
Il secondo romanzo della serie, "Traditori di tutti", è un mistero a due facce, una serie di delitti nella Milano degli anni '60 e, in parallelo, un dramma del passato, dei tempi della guerra. Se il precedente romanzo introduceva i protagonisti e il loro background, in questo nuovo capitolo Duca Lamberti si trova davanti ad una scelta amletica: tentare di riavere la licenza per svolgere la professione medica o mollare tutto e farsi assumere come poliziotto?
Direi che lo spoiler è piuttosto scontato... Interessante però è il modo in cui Duca guarda a queste due alternative. La prima rappresenta la sicurezza, la rispettabilità, i soldi facili e un futuro tranquillo; la seconda un mondo nuovo, privo di certezze ma denso di emozioni forti, e un futuro di ristrettezze economiche. E' una scelta che tutti noi, prima o poi, ci troviamo a compiere, quella tra ciò che è sicuro/rispettabile e ciò che ci appassiona, tra la cosa saggia e quella che ci piace. La motivazione che fa davvero pendere la bilancia da una parte invece che dall'altra, per Duca, è l'orgoglio, perché preferirebbe finire male piuttosto che calpestare le proprie idee e rinnegare ciò in cui crede. Duca si sente un novello Galilei e ritengo che questo riveli molto sul suo carattere.
Per il resto i temi si confermano forti: traffico di droga e di armi, terrorismo separatista, morti ammazzati male e persino una imenoplastica! Scerbanenco è riuscito ancora una volta a sorprendermi con la sua modernità e la schiettezza con cui affronta anche le tematiche più delicate.
Davvero toccante infine la riflessione che pervade l'intera vicenda e che si rifà al buon Cesare Beccaria: è davvero necessario che la polizia intervenga nelle guerre di regolamento dei conti tra delinquenti, o non sarebbe meglio se si lasciassero ammazzare tra di loro? E' uno sguardo disilluso, quello di Duca, che si indurisce col passare del tempo. La giustizia ufficiale non funziona, ci dice questo libro, i poco di buono hanno mille risorse per salvarsi e manipolare la legge; è dunque giusto o quantomeno accettabile che il cittadino si faccia giustizia privata? Questa è una riflessione che pervade un po' tutti i romanzi della serie e l'autore sembra propendere per il sì.
Un detective che non crede davvero nel potere della polizia, quindi. Un controsenso in termini, probabilmente, ma è questo Duca Lamberti. Tuttavia è un uomo fondamentalmente buono, un uomo che crede nella giustizia, nel pareggiare i conti, e che non sa mettere paletti né limiti, neppure per preservare se stesso e le persone che ama. Anche di questo tratta il terzo romanzo della serie, "I ragazzi del massacro".
Questo romanzo è piuttosto crudo e la mia amica Tenar ne è uscita davvero un po' scioccata. In effetti la trama principale è sconvolgente: all'interno di una scuola professionale serale una giovane professoressa viene trovata nuda, stuprata e massacrata di botte all'interno dell'aula dove avrebbe dovuto avere luogo la sua lezione. I colpevoli, almeno all'apparenza, sono i suoi studenti stessi, un manipolo di ragazzi problematici tra i 13 e i 20 anni.
E' una realtà difficile da mandar giù, tanto è vero che al giorno d'oggi pare impossibile pensare di pubblicare un romanzo che ponga al centro di atti così efferati dei minorenni. Non si può più dire, in Italia, che certi ragazzi, cresciuti in condizioni disagiate e senza adeguate risorse emotive e culturali, sono bombe ad orologeria pronte ad esplodere nelle mani del primo manipolatore carismatico che incontrano. Invece Scerbanenco lo racconta e non ha paura di mostrare il peggio dei quartieri poveri di Milano, la malattia, la mancanza di leggi, di controllo, ma soprattutto di amore, di reale interesse per il benessere e il futuro dei giovani. Non sono ragazzi strani, quelli descritti da Scerbanenco, mosche bianche inventate per un romanzo ma che al giorno d'oggi non possono più esistere. Con il mio lavoro li ho conosciuti, i ragazzi del massacro, ho insegnato loro inglese, ho imparato cosa vuol dire avere paura di stare in classe sola con loro, e tuttavia nasconderlo, fare in modo che non se ne accorgano, perché ogni segno di debolezza li rende ancora più pericolosi. Fare l'insegnante, in certi quartieri, in certe scuole, è un mestiere ad alto rischio per la propria incolumità.
L'ultimo romanzo della serie è "I milanesi ammazzano al sabato", inquietante e commovente ritratto di una tragedia familiare: il rapimento di una ragazza con gravi problemi mentali, che viveva sola con il vecchio padre dopo la morte della madre e della zia che si occupavano di lei. Il vero protagonista drammatico delle vicende è proprio questo pover'uomo, il signor Amanzio Berzaghi, prototipo di quel milanese da vignetta, che lavora duro tutta la vita e che mette la famiglia, l'onestà e la serietà professionale sul podio della propria realizzazione personale. E' un personaggio struggente nella sua dolcezza, un vero puro di cuore su cui il fato ha scaricato una raffica di colpi pesanti, troppo per chiunque da sopportare.
L'atmosfera cupa e sordida di questo romanzo, che ruota attorno ai temi della prostituzione, dello sfruttamento e della violenza ai danni dei più deboli, è un po' smorzata dalla storia d'amore tra Duca Lamberti e Livia Ussaro, protagonista del primo romanzo e figura sempre presente nelle vicende, sebbene sia spesso un po' in secondo piano. La loro storia è deliziosa, atipica ma profonda. Livia capisce Duca perfettamente; forse è l'unica a leggergli dentro davvero e ad accettarlo per quel che è, con i suoi lati taglienti e le sue ossessioni. Duca trova in Livia il rifugio da un mondo di orrori che gli toglie fiducia e voglia di combattere, in lei ricerca il calore e la passione, le emozioni che durante il giorno, nel proprio lavoro deve sopprimere, perché un poliziotto non può permettersi di sentire troppo. Sono strani, Duca e Livia, eppure sono così ben equilibrati da non poter che stare insieme.
In questo romanzo trova il culmine quella costante domanda che infesta i pensieri di Duca Lamberti: esiste davvero una giustizia? Le forze dell'ordine, la legge, sono davvero in grado di difendere i cittadini onesti e punire chi commette dei crimini o sono sempre un passo indietro, mentre la gente deve arrangiarsi per sopravvivere?
Leggere questa serie mi ha davvero soddisfatta. I libri sono ben scritti, scorrevoli, appassionanti, le trame non scontate, e il talento dell'autore fa dimenticare anche qualche problemino di coerenza e struttura narrativa. Dopo aver letto tutti e quattro i romanzi sono ancora più stupefatta dal velo di oblio che si è posato su Scerbanenco in un periodo in cui, peraltro, il giallo va molto di moda e gli autori italiani sono molto seguiti e stimati anche all'estero. La Milano di Scerbanenco è un gioiellino da riscoprire e le atmosfere di fine anni '60 hanno un gusto retrò che sa appassionare. Se ha saputo conquistare una diffidente come me, è davvero una serie che nessun amante di gialli deve farsi scappare.
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