Il romanzo di Michele Serra affronta proprio quest'argomento, il rapporto di un padre e di un figlio adolescente, sebbene la sua posizione sia quanto mai peculiare. Sicuramente ciò che narra è rappresentativo di una generazione, non solo di ragazzi, ma di genitori/padri che si sono differenziati da tutti coloro che li hanno preceduti (e non necessariamente in meglio).
Fatico a definire romanzo questo libro. La costruzione è più quella di una lettera aperta mista a un diario, in cui un padre annota le proprie riflessioni sulle quotidiane incomprensioni familiari. I capitoli, corti, privi di riferimenti temporali, sono intervallati dalla richiesta accorata da parte del padre affinché il figlio lo accompagni/accetti di andare con lui sul Colle della Nasca. Una sorta di traversata simbolica che dovrebbe unirli, segnare il passaggio di consegne da una generazione alla successiva.
La prima cosa che mi ha colpito di questa storia è la completa assenza di una madre. Questo figlio abbandonato a se stesso e alle grinfie di un padre lagnoso e asfissiante nella propria assenza mi ha fatto una grande tenerezza, perché la prima sensazione che mi ha trasmesso è quella di un ragazzo profondamente solo. Un giovane che si è costruito un suo modo di agire, di gestire la propria vita, perché nessuno gli ha detto ciò che sarebbe stato bene fare, e che in cambio si ritrova un padre insicuro e presente a corrente alternata che riesce solo a dirgli come e quanto sbaglia in tutto ciò che fa. Ci sono i piatti da lavare, la camera da pulire e riordinare, le vacanze da organizzare, orari comuni per pranzi, cene e sonni notturni da rispettare, ma il ragazzo non fa nessuna di queste cose e il padre si guarda bene dall'imporsi, quindi la domanda seguente nasce spontanea: dov'è la madre? Come può una donna ammettere impunemente che il proprio figlio viva in una tana senza orari, fumando sul letto e uscendo quando gli pare con non si sa chi, mentre la casa degenera nel disordine e nella sporcizia? E soprattutto perché non si impone, perché non rigira il marito/compagno come un calzino per il suo atteggiamento menefreghista e lassista? Niente, la madre non c'è. Non sappiamo se sia scappata, se sia morta, se sia stata costretta ad allontanarsi di casa o l'abbia fatto di proposito. Ciò che è certo è che questa madre manca terribilmente.
Poi c'è il padre, l'alter ego di Serra. Un uomo impegnato col lavoro ma che non si fa mancare interessi. Quello che si fa mancare è una relazione col figlio. Di lui non sa nulla. Non parlano, non c'è confidenza, non si interessa alla sua vita se non superficialmente e tutto ciò che riesce a carpire viene dalle richieste di finanziamento per lo shopping del ragazzo, che neanche a dirlo sovvenziona senza pensarci due volte. Non sia mai che qualcosa venga negato al pargoletto emotivamente e fisicamente abbandonato.
L'assenza di relazione tra i due è lampante. In una famiglia, a mio avviso, si possono costruire due tipi di dinamiche: il padre-padrone, se così vogliamo chiamarlo, che impone le regole e mantiene un distacco autoritario nei confronti dei figli, e il padre-amico, che ci parla e stringe legami e patti basati sulla confidenza e la fiducia reciproca. Nessuno dei due è di per sé totalmente positivo né totalmente negativo, ma senza estremismi possono funzionare entrambi.
Quello della storia non rientra in nessuna delle due categorie. Si dichiara contrario al vecchio concetto di genitore che impone, ma non è chiaro se abbia cercato di costruire un qualche altro tipo di rapporto col figlio. A prima vista, ciò che ha fatto è stato lavarsene le mani e defilarsi.
Ciononostante, non la smette un attimo di criticare e lamentarsi. Dice, almeno questo è ciò che sostiene, di essere contrario all'imposizione del proprio modo di pensare, dei propri valori e del proprio concetto di vita e di ordine, ma poi non fa altro che giudicare il figlio in ogni aspetto della sua vita: vestiti, abitudini quotidiane, cibo, musica, amici, passatempi. Si lamenta persino del modo in cui esprime (o no) le proprie emozioni con la mimica facciale... Decisamente se il suo scopo era quello di apparire elastico e aperto alla diversità la cosa non si percepisce.
Eppure non mi stupisco leggendo queste pagine, perché questi due stereotipi mi sono ben noti, il secondo tanto quanto il secondo. Essendo un insegnante è parte del mio lavoro guardare i ragazzi, non solo sorvegliarli e valutarli secondo le disposizioni ministeriali, ma guardare loro dentro. Su questa generazione, che Serra chiama degli sdraiati, come da titolo, avrei molte cose da dire; a volte denoto gli stessi comportamenti del fittizio figlio denunciati dall'autore, ma su altri punti non sono assolutamente d'accordo. Ciò che vorrei sottolineare qui è questo: dalle mie osservazioni i ragazzi di questa generazione
1) hanno una paura fottuta di non essere accettati, e sono disposti a qualsiasi cosa pur di esserlo; calcolando che l'ansia prestazionale e il senso di non essere abbastanza hanno le proprie radici di solito tra le mura domestiche, ho anche un sospetto piuttosto fondato che tutti questi genitori amici e aperti al confronto lo siano in verità ancor meno di quelli autoritari di una volta...
2) sono terrorizzati dal silenzio: non riescono a tacere, a rimanere in una stanza priva di chiacchiericcio, rumore di sottofondo proveniente dalla televisione, musica a palla dagli auricolari o dal computer. Cosa c'è nel silenzio che li spaventa tanto? Cosa hanno paura di sentire che nel rumore generale tace? Forse uno psicologo saprebbe rispondere a questa mia domanda in modo più professionale, quindi non azzardo conclusioni, ma è un dato di fatto: qualcosa, lì nel silenzio, c'è.
3) crescono nonostante i propri genitori: sempre più mi capita di vedere ragazzi con qualche problema di cui, una volta incontrati i genitori, non posso che pensare "Be', in fondo è sano...". A volte, come battuta, dico che questi ragazzi starebbero meglio da orfani. Ovviamente non augurerei mai una cosa simile, ma è vero che certi genitori fanno proprio di tutto per mettere i bastoni tra le ruote dei propri pargoli. Sono genitori egoisti ed egocentrici, troppo impegnati ad essere giovani per prendersi cura della prole, troppo occupati con le proprie relazioni, i propri interessi e i propri dubbi per notare che i figli hanno bisogni, domande, paure e preoccupazioni. I ragazzi si tengono tutto dentro, se la fanno passare, e si arrangiano come possono. E prendono, prendono tutto ciò che possono da questi genitori che andrebbero accuditi: fossero anche solo soldi e regali, sempre meglio che niente.
4) non sono tutti sdraiati. Sembra una banalità, forse, dirlo qui, come ultima osservazione, ma forse non è così scontato, visto che nel libro di Serra di ragazzo non sdraiato non ce n'è nemmeno uno. Eppure io ne conosco dozzine. Ragazzi che impegnano il proprio tempo in attività costruttive e che combattono per un futuro migliore, per crescere, per cambiare il mondo, per essere liberi... Ognuno ha le proprie speranze e aspirazioni, non tutti vogliono le stesse cose, ma di certo non restano sul divano vittime del consumismo e della pigrizia. Questi giovani pieni di vita, di voglia di vivere, esistono e dovrebbe essere a loro che rivolgiamo il nostro sguardo: non al peggio, ma al meglio di ciò che i nostri rinsecchiti rami sono riusciti a produrre. Andrebbero valorizzati, invece sono i ragazzi che vengono emarginati senza che nessuno se ne accorga, che vengono presi in giro e bullati senza che gli adulti li difendano, mentre per i carnefici i genitori sono sempre pronti a schierarsi.
Detto questo, sono felice di poter dire che, dal mio punto di vista, il libro si conclude positivamente. I ragazzi, in un modo o dell'altro, vanno avanti. Ce la faranno lo stesso, nonostante il mondo costruito dai vecchi, nonostante i loro padri relativisti e, in fin dei conti, inutili. Chissà che un giorno non siano anche genitori migliori di quelli che hanno avuto...
"Tra morire bene e morire male,
a parte le cause tecniche dell'evento,
la sola vera differenza è essere contenti che gli uccellini ci siano
anche quando tu non ci sei più,
oppure dolersene e invidiare ai vivi la vita."
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