mercoledì 13 settembre 2017

64. Vanni Santoni - La stanza profonda

Magari non si intuisce, ma io sono abbastanza nerd. Abbastanza da aver fatto una tesi sulle lingue elfiche in Tolkien, abbastanza da aver imparato a suo tempo come si dice "Devo andare in bagno" in Klingon e abbastanza da giocare a D&d in modo continuativo dall'età di 15 anni. 20 anni di gioco di ruolo, attraversando edizioni ed espansioni, fino ad arrivare a Pathfinder. Che esperienza...
Ora, tutto questo per chi non ha mai giocato di ruolo non vorrà dire nulla. Probabilmente qualcuno non saprà nemmeno cosa siano i giochi di ruolo e per questo c'è Wikipedia. Chi invece ha tirato i dadi, ha aggiornato i dati sulla scheda, ha sfogliato i manuali sa che c'è un mondo, fatto di strategie, divertimento, ma anche emozioni racchiuso in quell'esperienza di gioco. Chi ha giocato di ruolo poco forse lo sente meno; chi come me ha investito parte della propria preziosa vita in questo hobby non può non avvertire un rimestio in fondo allo stomaco, un calore dolce al solo pensiero.
Poi c'è chi ci scrive un libro e io potevo esimermi dal leggerlo?

Ricordo quando ho letto che tra i libri candidati al premio Strega ce n'era uno che parlava di giochi di ruolo. Non riuscivo a farmene una ragione. Quante persone avrebbero potuto interessarsi a un romanzo così? Premiarlo addirittura? Non a Lucca Comics, ma in una rassegna di questo livello? Il mio cervello si rifiutava.
Ho iniziato a cercarlo, dovevo leggerlo. Non è stato facilissimo reperirlo e ho dovuto aspettare fino ad ora per via di oscuri ricatti familiari che limitano i miei acquisti bibliofili (crudeltà!), ma Amazon mi è stata amica e il romanzo è arrivato tra le mie mani.
L'ho letto nel giro di circa 24 ore, forse 32.

Va detto che il romanzo "La stanza profonda" di Vanni Santoni è breve, 149 pagine, e ha un ritmo veloce, scorrevole, con una struttura narrativa degna di un dungeon master: non riesci a smettere, anche quando una sezione finisce, perché ti lascia sempre con quel pizzico di suspense che male non fa. Quindi un libro facile, allettante, con uno stile particolare e l'uso della seconda persona singolare narrativa che non è molto diffuso ma che ha funzionato, anche se credo ci sia una parte di gusto personale nel mio giudizio.
La storia non è poi molto complessa: un ex dungeon master si ritrova nella "stanza profonda", cioè quella in cui si ritrovava a giocare di ruolo con gli amici, e pensa a quanti anni ha passato tra quei manuali e quei dadi, ricorda i suoi compagni di giocate e accarezza l'idea di fare ancora una campagna, quasi a mettere una ciliegina sulla torta della propria giovinezza nerd.
Il tutto è inframezzato da lunghe digressioni sulla storia del gioco di ruolo e non solo, perché si parla anche di carte come Magic e di giochi in scatola.

"La stanza profonda" è, fondamentalmente un libro Amarcord. In questa carrellata di ricordi, la sensazione è proprio quella del tempo che fugge, che non tornerà mai più, di una adolescenza e giovinezza un po' buia, sempre disadattata, ma in qualche modo illuminata dalla soddisfazione di quell'appuntamento fisso, la riunione per giocare. Uno dei grandi limiti di questo romanzo è, secondo me, proprio la nicchia di lettori a cui si rivolge. Non è un libro che chiunque possa capire e di cui si possa godere se non si conosce bene il mondo del gioco, a mio parere. Tante citazioni, riferimenti, abbreviazioni, la maggior parte dei quali non sono spiegati e che quindi per chi nella stanza profonda non c'è mai stato non significano niente. Si rischia davvero di perdere interi paragrafi, con passaggi tipo questo:

"[...] Andre che agita i dadi tra le mani prima di sferrare un attacco, allora, 4d6 di Spadone dell'Abisso, più 50% di carica sono altri due, più 1d6 di fendente, più 1d6 di assalto, +3 di bonus al danno, +8 di forza..."

Bellissimo, anche esaltante per una come me, ma immagino meno per la maggior parte degli italiani. Questo è stato il mio primo dubbio, che mi ha anche fatto riflettere sulla improponibilità di un libro così per il premio Strega: come può un testo così autoreferenziale avere una portata nazionale?

C'è dell'Amarcord anche nel modo in cui l'autore sfrutta il ritorno al paesello natale, alla casa in cui si trova la stanza profonda, per osservare il modo in cui il mondo attorno a sé è cambiato nel corso degli ultimi 20 anni. Negozi che chiudono, mode che cambiano, persone che se ne vanno. L'attenzione è puntata sull'imbruttimento della popolazione dei piccoli centri abitati, il loro rinchiudersi sempre più in se stessi, terrorizzati da una minaccia inesistente, mentre il mondo attorno a loro va avanti e loro rimangono sempre più bloccati, paralizzati, e poco a poco muoiono. Niente sale giochi, niente manga, niente cinema, niente locali notturni, niente bambini che giocano per la strada, niente che non sia silenzioso, conosciuto e talmente innocuo da essere irrilevante. Un'economia che nega ogni novità e ogni alternativa e che finisce per collassare su se stessa, facendo scappare tutti coloro che vorrebbero di più, qualcosa di diverso, e ciò che resta sono vigili urbani intenti a fare multe a ragazzini pakistani che giocano a palla in piazza.
E' sull'onda di un revival degli anni '80 che ultimamente vedo molto, tra serie tv tipo "Stranger things", meme su Facebook e il rifacimento di "It", uno sguardo malinconico al mondo in cui vivevamo bambini (noi, generazione anni '70/80), che era tanto più pericoloso e incurante della salvaguardia della nostra salute fisica e psicologica ma tanto più reale, vitale, ricco di emozioni e di soddisfazioni concrete. Non posso dire di non condividere in parte questa lettura del nostro tempo, di non aver notato il processo di deterioramento della popolazione urbana anche a Novara, che di abitanti ne fa 100.000 e ciononostante...
C'è però un po' di autocommiserazione, di mala tempora currunt ancora una volta fine solo a se stesso, perché non c'è uno sguardo vero puntato sul futuro. Anzi, una delle cose lasciate più in sospeso è proprio il presente/futuro del protagonista, perché io di questo giovane uomo non ho capito ancora, finito il libro, quali siano i traguardi, i successi e le aspirazioni. Insomma, chi l'avrebbe dovuta salvare questa Italia dei piccoli borghi? Possibile che non si possa proprio fare nulla? L'autore è negativo, secondo me, il finale a mio avviso è da leggere in questo senso, come un'impossibilità di tornare a quei tempi perché il mondo attorno è cambiato ed è diventato più diffidente e ostile; tuttavia i quarantenni ci provano lo stesso a rivivere quelle emozioni, almeno per un po'.

Infine c'è un'apaticità emotiva che mi ha leggermente infastidito.
Faccio una premessina. Io ho giocato in diversi gruppi e ho assistito ad altri gruppi ancora giocare. Da questo ho capito una cosa: esistono grossomodo due tipi di gruppi, quelli maschili e quelli femminili. Li definisco così perché nella mia esperienza quelli del secondo tipo subiscono l'influenza a tratti benefica di una nutrita presenza di giocatrici. Quello descritto nel libro è un gruppo maschile. Questi gruppi sono molto concentrati sul gioco in sè, sulle ore passate nella stanza, ma spesso non creano delle relazioni vere e profonde tra i giocatori. Si tratta di relazioni un po' superficiali, forse, che non vanno a indagare la vita dei membri al di fuori del ruolo, e quando si smette di giocare questi gruppi tendono a perdersi, perché alla fine ognuno va per la propria strada. Ho giocato per tutta la mia adolescenza in un gruppo di questo tipo e ho riconosciuto tutte le dinamiche descritte nel libro, quelle più divertenti e anche quelle negative. I gruppi che io chiamo femminili, invece, parlano un sacco. Si sa, le donne hanno questo difetto, non stanno zitte mai, e quando si vedono tutte le settimane cominciano a parlare, parlare, raccontarsi tutti i fatti propri, aggiornarsi su ogni sfiga, ogni preoccupazione, ogni episodio buffo capitato, e si passa un'ora a fare quello invece di giocare (lato negativo) ma si creano legami più profondi e solidi, che tendono a trascendere i momenti di gioco e a durare nel tempo. Il gruppo in cui sono ora è così e mi dà molta più soddisfazione, perché so che se vado a giocare non è solo per sfogare delle frustrazioni, dimenticare i miei problemi o flettere i muscoli della fantasia, ma anche per incontrare degli amici, che saranno felici di vedermi e di condividere con me parte della loro vita. Insomma, le dinamiche sono proprio diverse e mi spiace che tanti non abbiano mai questo tipo di esperienza.
Vanni Santoni ha gestito per molti anni un gruppo in cui il trend relazionale era molto basso profilo, in cui le persone presenti erano intercambiabili, bastava giocare. Per questo credo di aver avvertito molta freddezza emotiva tra le pagine. Anche lui se n'è accorto e secondo me se n'è dispiaciuto. Vanni, so che sei lontano, ma se vuoi il mio gruppo ti accoglie pure a giocare! Falla un'esperienza femminile, è una soddisfazione!
Scherzi a parte ci sono un paio di momenti, tra cui il culmine è la vicenda di Loriano, che mi hanno lasciata un po' con l'amaro in bocca.

In definitiva direi che "La stanza profonda" è un libro che ogni giocatore di ruolo dovrebbe leggere, per riconoscersi nello scrittore e magari scoprire qualcosa in più sulla storia del gioco di ruolo. E' godibile e si legge in fretta, regalando diversi momenti di intrattenimento. Tuttavia il testo tende ad essere sanscrito per chi non ha mai avuto a che fare con questo mondo e non credo che aiuterà nessuno ad approcciarsi ad esso, rendendolo a tutti gli effetti una lettura settoriale e limitata.

2 commenti:

  1. Lo voglio leggere (quando? Ho iniziato un romanzo che desideravo nel profondo e dall'inizio della scuola ho letto due capitoli...Però lo voglio). E lunga vita al gdr!
    PS: gli uomini si sa, sono meno profondi e significativi, qualcuno è chiuso di suo, però c'è da dire che anche nel mio gruppo maschile quando succede qualcosa di importante nella vita di qualcuno gli altri accorrono. Mi viene in mente un giocatore che la vita ha portato altrove, ma che reincontro ogni volta che c'è un'emergenza (purtroppo spesso ai funerali dei parenti dei membri del gruppo). Alcuni legami si sono spezzati, altri però durano solide (poi, magari alcuni nerboruti giocatori sono dentro sono donne pettegole e questo aiuta).

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    1. Suvvia, se sono pettegole non sono un gruppo "maschile"! Ci tengo a specificare che non uso maschile in senso dispregiativo perché sono pazza (cosa effettivamente vera), ma proprio soltanto per generalizzare un atteggiamento, ovviamente non per forza legato al genere. Ecco, diciamo che a un certo punto un loro amico ci lascia e non ho visto molto cordoglio...
      Comunque te ne avevo accennato e te lo presterò sicuramente. Magari prima cerco di capire se Elena lo vuole leggere "al volo". E' un libro che va giù velocissimo, una pagina tira l'altra, ed è anche facile da spezzettare. Credo piacerebbe tanto anche a Nik...

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