domenica 26 giugno 2016

16. Diane Setterfield - Le nere ali del tempo

Più riguardo a Le nere ali del tempoAvete mai provato quella sensazione di avere tra le mani una trama potenzialmente entusiasmante? Rimanere affascinati dall'atmosfera, dai dettagli, e attendere con trepidazione il modo in cui le pieghe della storia si sveleranno di fronte ai vostri occhi? Ecco, e vi è mai capitato di arrivare in fondo a un libro dicendo "E quindi?"
Questa è stata esattamente la mia esperienza nel leggere questo romanzo.

Anch'io sono stata incantata dalla lettura di "La tredicesima storia" della stessa autrice, suo romanzo di esordio e opera certamente superiore. In quel romanzo, il cui ricordo ormai è un po' scolorito nella mia mente, era riuscita a costruire una trama complessa, composta di tante storie concatenate e un segreto che sottende l'intera vicenda e che tiene il lettore col fiato sospeso fino alla fine. Un bel romanzo, certo non un Nobel ma tempo trascorso piacevolmente.
Mi avevano avvisata che questo secondo lavoro non era alla stessa altezza del primo, ma io quando mi ostino mi ostino e finché non tocco con mano non credo. Me l'avevano descritto così, "una perdita di tempo". Devo dire che Elena aveva pienamente ragione.

In breve, il romanzo segue la vita di un uomo, William Bellman, in un paesino dell'Inghilterra ottocentesca, dall'adolescenza fino alla morte. Il primo incontro con questo ragazzino brillante e ottimista si ha in una strana giornata in cui, forse per sfidare i propri limiti o forse per fare colpo sugli amici, William colpisce un giovane corvo con una pietra, uccidendolo. William non è un comune ragazzo; è speciale. Crescendo, egli diventa un giovane di successo e fa incredibili progressi, ottenendo praticamente qualsiasi cosa voglia. Tuttavia nel retro, come una maledizione, resta la sensazione che i corvi ricordino... Un romanzo dalle tinte fosche, a tratti gotico e con tocchi soprannaturali. Potenzialmente un genere che io amo molto e che dovrebbe appassionarmi.

Purtroppo ho molte considerazioni negative da fare.
Prima di tutto il protagonista: William è bello, bravo, simpatico, sa fare tutto, impara tutto al volo, contabilità, ingegneria, lavoro manuale, nulla gli è precluso. E tutto senza nemmeno studiare granché, anzi, si guarda bene dal prendere mai in mano un libro il buon William... Le sue intuizioni sono tutte geniali, non si ammala mai, almeno finché è giovane, trova sempre chi lo sostiene e lo aiuta, ottiene qualsiasi cosa con un sorriso e tanto lavoro. A me, e credo a molte altre persone, questi personaggi danno l'orticaria. Le persone così non esistono e, se esistessero, servirebbero solo a far venire l'esaurimento agli altri, perché è davvero improbabile che un unico essere umano inanelli tanti successi uno dietro l'altro senza battere ciglio. I personaggi perfetti non fanno la felicità di un romanzo e il graduale trasformarsi in orso del protagonista non migliora la situazione.
Un altro neo sono i personaggi secondari. Sono spesso ben delineati, con parti più o meno importanti, dettagli anche vividi e interessanti che vengono mostrati e poi...niente, si fermano lì. Persi nella narrazione, scompaiono nel fiume di parole e non assumono, in fin dei conti, davvero nessuna rilevanza. Persino la figlia Dora, che diventa a metà della storia il perno su cui la vicenda si complica ulteriormente, alla fine rimane un po' lì, inutile. Credo che l'autrice volesse farmi notare delle cose, mandarmi qualche messaggio, e se volessi potrei anche sforzarmi di coglierlo, ma non dovrebbe essere uno sforzo del lettore quanto un canale aperto di comunicazione, e qui manca.

Anche la simbologia pecca un po' di fumosità. Il corvo, simbolo di molte cose, tra cui la morte e la memoria, è un motivo costante all'interno del romanzo, ma alla fine anche questo si brucia un po'.
Porta la nostra attenzione, questo è sicuro, sulle tematiche principali della storia.
La memoria, il ricordo, che William fatica a coltivare, mentre punteggia le giornate di Dora. Il tempo, che scorre in modo diverso per William, apparentemente, rispetto al resto del mondo. Il tempo sprecato e guadagnato, e naturalmente quello che ci resta: l'ultimo tema fondamentale è la morte.
La storia è scandita dalla morte dei personaggi che si avvicendano sulla scena e raggiunge il culmine alla fine della prima parte. Continua poi a dominare la seconda parte del romanzo, in cui il protagonista apre addirittura un grande magazzino di accessori mortuari, la ditta Bellman & Black che dà il titolo originale al romanzo.

In verità questo della morte, la rilevanza dell'evento e della malattia, la ritualità ad essa collegata sono una delle cose più affascinanti di questo libro. L'autrice descrive accuratamente le usanze dell'epoca, che erano tutt'altro che scontate e semplici.
I Vittoriani avevano fatto del lutto un'arte. Complice l'austerità della regina Vittoria, che dopo la morte del marito, il principe Albert, portò il lutto per quarant'anni (vale a dire il resto della sua vita), le famiglie in caso di morte di un parente stretto, specie di un coniuge, erano tenute a seguire un complicato rituale di abbigliamento che andava dal pieno lutto, della durata di un anno e un giorno, a nove mesi di lutto con la possibilità di introdurre gioielli e di scostare il velo, per poi passare a un ulteriore periodo detto di mezzo lutto, adatto all'introduzione di qualche colore sobrio e non appariscente come il grigio, fino addirittura al quarto di lutto. Insomma, era necessario un guardaroba intero! Se vi interessa vedere un po' di foto e leggere qualche informazione (ahimè in inglese) qui trovate un interessante articoletto in merito.
Il pragmatismo inglese non si lasciò ovviamente sorprendere impreparato e nel corso dell'Ottocento nacquero vere e proprie boutique del lutto, come Jay's, di cui potete vedere un inserto pubblicitario proprio qui a fianco. In fondo, come si diceva allora, il lutto non deve impedire ad una donna di essere alla moda e di sfoggiare gli abiti migliori.
L'autrice si ispira a questo culto della morte nel creare la Bellman & Black, la ditta che il protagonista apre a Londra con grande successo di pubblico. Certo questi dettagli non entusiasmeranno chi deficita un po' del senso del macabro, ma a me sono piaciuti molto.

Ho anche apprezzato la precisione con cui la Setterfield descrive la vita del comune cittadino inglese in epoca vittoriana. L'autrice si è documentata a dovere prima di darci la descrizione delle case, degli usi, ma in primo luogo dei mestieri e delle tecniche applicate, dell'abbigliamento e della gestione dell'economia. Nonostante non ci dia mai riferimenti storici chiari e i protagonisti siano apparentemente disinteressati alla politica del Paese, è interessante lo squarcio che ci viene regalato sulla vita rurale e della classe media.

Basta tutto questo a riscattare il romanzo? No, a mio avviso non basta.
Il finale del libro è veramente piatto, privo di una vera conclusione ma anche privo di reale emozione. Ho letto pagina dopo pagina aspettando il momento in cui mi avrebbe sorpreso, in cui avrei capito, in cui avrei colto ciò che l'autrice aveva celato per me tra le pagine...ma non è successo. Non ho trovato nulla se non la banalità di "vivi bene i tuoi anni, ricorda le cose belle e non aver paura di serbare nel cuore anche la memoria degli eventi drammatici, non sprecare i giorni che ti sono concessi ma vivi pienamente". L'abbiamo già letto mille volte e scritto anche meglio.
Quindi no, non consiglio davvero questo romanzo. Risparmiate tempo e soldi, sono certa che troverete di meglio da leggere (ad esempio "La tredicesima storia").

La regina Vittoria con alcuni dei figli vestita a lutto in occasione della morte di una delle figlie, Alice. La vogliamo ricordare così, triste, vestita di nero. Il leit motiv di questo libro...

Nessun commento:

Posta un commento