venerdì 6 gennaio 2017

31. Carlo Emilio Gadda - Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Più riguardo a Quer pasticciaccio brutto de via MerulanaSono rimasta un po' indietro con le mie letture dell'anno 2016... Mannaggia, mannaggia, i buoni propositi hanno ceduto proprio a fine anno! Devo dire però che qualche grosso cambiamento lavorativo mi ha lasciato un po' a terra con tutto il resto della vita e anche le letture ne hanno risentito non poco. In fondo tra ottobre e dicembre ho letto solo tre libri, due dei quali letturine leggere e avventurose...
Il mese di ottobre, però, mi ha visto impegnata in un romanzo che da tempo volevovolevovolevo leggere ma che non avevo mai avuto il coraggio di affrontare da sola. Chissà perché. Invece il gruppo di lettura l'ha estratto e io ne ho gioito profusamente.

"Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" è un'opera che si studia all'università, mi hanno detto, e si capisce facilmente perché: Gadda è un vero rivoluzionario dell'utilizzo della lingua italiana. Anzi, di un italiano dialettale inventato, che usa come base il romanesco ma ci mischia anche molisano e altri termini gergali, fino ad ottenere un idioma curioso, straniante, certamente affascinante ma non sempre di facile fruizione.

La storia è quella classica di un giallo: il protagonista, don Ciccio Ingravallo, commissario di polizia, indaga sul caso di una donna benestante, Liliana Balducci, che è stata trovata morta in casa propria dal cugino, assassinata. Don Ciccio, che oltre ad essere un serio e apprezzato professionista era anche un amico di famiglia della povera Liliana, prende particolarmente a cuore la sorte della donna e si getta nelle indagini con un impegno addirittura maggiore di quello che avrebbe profuso in altri casi simili.

Inizio subito con uno spoiler: non viene mai detto, almeno a chiare lettere, chi è l'assassino. C'è un'intuizione, un sospetto finale, ma non è verificato. So che questo fa un po' passare la voglia di leggere tutto il libro, ma c'è molto di più della banale trama da scoprire tra le pagine del Pasticciaccio.

Tanto per iniziare la figura drammatica della vittima. Liliana è una donna già vecchia nonostante sia ancora giovane, moglie trascurata di un marito spesso via per lavoro (e che non disdegna qualche tradimento), di famiglia ricca ma non più così in vista e abbiente. Non sembra avere amici, né un lavoro o una vita sociale. Rinchiusa tra le mura del suo appartamento sfiorisce nella tristezza e nel desiderio di quel figlio che non è mai arrivato, di una maternità che è diventata ossessione e che, avendo perso le speranze di un erede biologico, riversa sulle giovani senza mezzi che accoglie in casa propria. E' una donna sola, tanto sola e triste, che ben rappresenta, a mio avviso, la condizione della donna di buona famiglia durante il periodo fascista (ma non solo...): la moglie che non genera figli, in fondo, è un fallimento.
Non se la passano meglio le altre figure femminili del romanzo: quasi tutte donne di ceto sociale molto basso, Gadda ne sottolinea la fragilità, la volubilità, l'arroganza e la volgarità; sono donne invidiose, meschine, disposte a tutto per ingraziarsi il bello di cui si sono invaghite, e non importa se è un malfattore, un assassino perfino. Tutte, più o meno, perdenti.

Molto particolare la scelta dell'autore di ambientare il romanzo nel 1927, nel pieno della Roma fascista. Scritto nel 1957, Gadda lascia scivolare tra le righe il proprio odio per il dittatore Mussolini senza mai nominarlo, ma affibbiandogli una sfilza di insulti e nomignoli dissacranti. A parte l'effetto spesso comico, si sente l'astio tipico del Dopoguerra nelle pagine del Pasticciaccio, anche se sono già passati 12 anni dalla fine del conflitto.

Tuttavia non si può parlare di questo libro senza concentrarsi sul linguaggio in cui è scritto. Gadda è comprensibile, certo, ma non agevole, soprattutto per chi non è avvezzo ai dialetti del centro/sud Italia. Inoltre la prosa è a tratti contorta, ricca di incisi, subordinate e lunghi periodi senza interruzioni. Leggendo queste pagine mi sono ritrovata a pensare che davvero non è una lettura per tutti e mi sono chiesta chi avesse in mente Gadda come lettore ideale, all'atto della stesura di questo romanzo. In alcuni momenti mi sono detta che solo un pubblico di lettori superistruiti avrebbero potuto apprezzare le montagne russe linguistiche di quest'autore, i giochi di parole, i riferimenti letterari e i tanti prestiti dal latino e dal greco. Mi stupisco ancor maggiormente del successo avuto da questo romanzo negli anni...

Infine un approfondimento sull'autore mi ha fatto riflettere su alcuni dettagli. Gadda era una persona poliedrica, incredibilmente colta, un ingegnere che si era votato alla letteratura. Probabilmente aveva un'intelligenza molto al di sopra della norma, sicuramente era una mente brillante. Tuttavia, come tanti nella sua condizione, soffriva di forti sbalzi di produttività, dovuti a un umore altalenante che io, con termini più moderni, chiamerei depressione. Leggere dei suoi momenti di euforia scrittoria e dei periodi neri che seguivano mi ha ricordato molti altri autori che ho amato (e, molto in piccolo, anche me...), scrittori geniali che però hanno faticato a portare a termine le proprie opere proprio a causa del male di vivere, dell'oscurità che, piano piano, mangiava loro l'anima. E, non dimentichiamolo, anche a causa della loro scimmia.
[Nota tecnica: per scimmia qui si intende quella parte folle del cervello che, invece di rimanere centrata e ancorata sulle proprie incombenze e sul portare a termine le attività necessarie, si perde in mille altri interessantissimi voli sulle ali della curiosità, finendo però col non combinare una mazza di niente...]
La scimmia di Gadda doveva essere un animale colossale, un King Kong mentale, e secondo me questo è ben evidente nel suo modo di narrare: sono continui i salti da un argomento ad un altro, connessioni logiche assolutamente random una dopo l'altra che portano il lettore su un sentiero astruso e sconnesso. Leggendo Gadda a volte ci si perde nella nebbia e seguirlo è quasi impossibile pur mettendoci tutta la propria attenzione e concentrazione. Affascinante, folle, ma godibile forse sarebbe un'altra cosa, ecco.
La scimmia e la depressione sono anche responsabili, con ogni probabilità, della vera pecca di questo romanzo: l'essere incompleto. Sebbene il Pasticciaccio si concluda, a suo modo, Gadda aveva intenzione di scriverne una seconda parte, in cui sarebbero state chiarite anche alcune faccende rimaste in sospeso. Purtroppo questo secondo romanzo non esiste e non esisterà mai, se non sotto forma di bozze e appunti. Mi piace pensare che, allora, la storia sarebbe stata davvero compiuta, portata a termine, e avrebbe colmato quei buchi che invece la lettura del Pasticciaccio lascia.

Un giudizio finale dolce e amaro, insomma, perché sì, il romanzo mi è piaciuto, ma è davvero faticoso da seguire e il senso di incompletezza un po' sulla lingua si sente.

2 commenti:

  1. Durante la rilettura mi sono arenata, ma mi ritrovo molto nei pensieri fatti quando lo lessi, appunto, all'università.
    Aggiungo solo una riflessione. L'Italia ha sempre avuto anche uno zoccolo duro di persone molto colte. Un docente universitario estero una volta mi disse di essere stupito dal fatto che qualsiasi libreria italiana ha un reparto classici e che la maggior parte dei classici antichi sono ancora presentati con anche la lingua originale. Il tanto vituperato liceo classico (e in generale le buone scuole superiori italiane che, checché se ne dica, schifo non fanno) ha garantito nel tempo all'Italia un gruppo esiguo ma costante di persone colte, in grado di apprezzare anche fini giochi linguistici. È un gruppo esiguo, ma con un buon potere d'acquisto o che, comunque, spende volentieri in cultura e che ha permesso negli anni di mantenere in Italia determinate eccellenze culturali. Gadda, secondo me, è perfetto per quel pubblico.
    Ulteriore riflessione: perché questo zoccolo duro di alta cultura storicamente presente in Italia è così ininfluente a livello politico e in generale incapace di influire sul sentire comune (se ci pensiamo non da oggi, per altro)?

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    1. La tua riflessione è molto interessante. Avevo la mezza idea che all'epoca ci fosse appunto una fetta di pubblico colto che avrebbe gradito questo genere di letteratura.
      Temo che con la lenta ma inesorabile decadenza culturale italiana (vedi i numeri sempre più esigui degli iscritti ai licei classici e il proliferare di licei scientifici e linguistici senza latino) stia portando questo bacino di lettori a restringersi sempre più. Anche perché senza gli strumenti culturali adatti è dura intraprendere certe letture e si è facilmente demoralizzati.
      Io, lo sai, rilancio sempre la meravigliosità del liceo classico. La gente non sa quel che si perde...

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